TESI DI LAUREA
Gli articoli di Francesco
Martelli su www.cremonasera.it, in sintesi, lo sono!
Francoforte 28 08 2021
www.flaminiocozzaglio.info flcozzaglio@gmail.com
—Sempre
più burocrazia, mistificazione della realtà e scomparsa
dell’individuo
Occuparsi
di archivi significa occuparsi anche molto di burocrazia, o meglio
dei sistemi attraverso i quali una burocrazia opera. La cosiddetta
“gestione
documentale”
è di fatto il sistema attraverso il quale un grande apparato,
pubblico o privato, trasforma in atti concreti delle strategie
attraverso dei passaggi amministrativi, che posso essere cartacei o
digitali. Si potrebbe dire che l’archivistica, studiando suo
malgrado i sistemi e i meccanismi della documentazione burocratica, è
in un certo senso anche “burocraziologia”.
Badate bene che tutto questo è molto più cruciale e fondamentale di
quanto possiamo immaginare, soprattutto nel mondo di oggi. Noi siamo
presi in una manovra “a doppia tenaglia”: da un lato la
inarrestabile pressione del marketing ovunque, per cui esistiamo solo
se spendiamo, dall’altro la inesorabile garrota delle mille
burocrazie, per cui anche se non spediamo i soldi ci vengono estorti
giocoforza, con all’orizzonte la nostra inconsistenza fisica di
individui. E tutto ormai, dalla nostra salute ai nostri denari,
fateci caso, dipende solo ed esclusivamente da sistemi, protocolli,
procedure, moduli.
Per
la verità dovremmo distinguere tra la gestione documentale, che è
un circolo virtuoso di sistemi e strumenti che consentono alle nostre
necessità quotidiane di venire rapidamente ed agevolmente
soddisfatte, e la burocrazia che è invece un circolo vizioso nel
quale la soluzione dei nostri problemi si arena senza speranza.
La
burocrazia, il potere deli uffici ( bureau – kratòs) ha sempre
come peculiare caratteristica una infrangibile macchinosità
procedurale, e come deformazioni conseguenti la
deresponsabilizzazione dell’individuo e la mistificazione della
realtà.
La
mistificazione della realtà.
Nel
1971 la scrittrice ebrea americana Hanna
Arendt tenne
una conferenza sui cosiddetti “Pentagon Papers”, ossia quella
serie di enormi dossier governativi sul disastroso andamento della
guerra nel Vietnam volute dall’allora Segretario alla Difesa USA
Robert MacNamara e che vennero pubblicati sul New York Times proprio
durante il conflitto. A scatenare la polemica non vi furono
strepitose rivelazioni su misfatti guerreschi, ma il fatto che nei
dossier si percepisse una sistematica sostituzione delle teorie dei
consulenti del Governo, formatisi nella esclusivissima Ivy League, al
reale andamento della guerra. Una sorta di approccio ideologico alla
realtà con delle teorie, che dovevano per forza funzionare perché
provenivano dalla élite delle università americane (ivy significa
edera, la Ivy League è l’insieme dei più prestigiosi college
dell’establishment americano, i cui edifici storici sono ricoperti
di edere come quelli inglesi). Teorie che non solo non funzionavano,
ma anzi peggioravano esponenzialmente l’andamento delle realtà
bellica. Secondo la Arendt, il disastro fu generato dal fatto che gli
intellettuali del Pentagono sostituissero pedissequamente le loro
teorie alla realtà: “ciò
che è realmente pericoloso non è la contrapposizione tra vero e
falso, ma tra reale e fittizio. Ossia la sostituzione della realtà
con una generica verità costruita”,
che finisce per diventare finzione alla quale si crede senza porsi
domande ma modificando i propri comportamenti. Chissà se vi ricorda
qualcosa di recente…
Nel
1964 Mao ordinò
ai cinesi di estirpare erba e fiori dai giardini, in quanto la loro
coltivazione era dal Grande Timoniere ritenuta borghese e feudale.
Trasmise il verbo al Partito e da esso, attraverso la burocrazia
partitica, a tutti i remoti angoli dell’immenso limbo della Cina
maoista. La scrittrice Jung
Chang,
ricordando quei momenti, nota che anche se tra i cinesi la
coltivazione dei fiori era amatissima e diffusissima, fecero senza
piega quello che diceva il Regime perché “non
eravamo stati educati a trarre le conclusioni dai fatti, ma a partire
dalle teorie marxiste o dalle parole di Mao o dalla linea del
partito”.
Come nell’America dei bureau del Pentagono, l’intenzione elitaria
prevale sul bisogno reale.
Questa
contrapposizione che ha condizionato il mondo per 50 anni, tra
l’approccio leninista sovietico, che era l’uso della violenza
sulla realtà per renderla come la vuole l’ideologia, e quello
americano piuttosto calvinista, che è sempre stato la costruzione di
una realtà edulcorata, edonista e fittizia, ha come peculiarità che
si addiviene alla medesima condizione: la mistificazione della realtà
appunto.
Oggi
che questa contrapposizione è finita, ci è rimasta solo la
mistificazione della realtà, che avviene attraverso la
globalizzazione mediatica del pensiero unico delle nuove élite, i
social network, che hanno come unico scopo la vendita commerciale ma
attuata attraverso una graduale mutazione di abitudini, bisogni,
comportamenti indotta da opinioni collettive eterodirette.
La
deresponsabilizzazione dell’individuo.
Sempre Hanna
Arendt seguì
tutto il processo israeliano al più grande criminale nazista
sopravvissuto a Norimberga, Adolf
Heichmann,
e lo definì “un
uomo banale, mediocre, imbevuto di una ideologia cui aderiva senza
porsi alcuna responsabilità individuale”,
un grigio burocrate che eseguiva pianificava e trasmetteva ordini
(cose che peraltro affermò con un candore orrorifico Heichmann
stesso al processo), insomma un burocrate dello sterminio, per il
quale eliminare gli ebrei era una procedura come un’altra.
C’è
un film polacco del 1990, con un ottimo Donald Sutherland, che si
chiama “L’esercizio
del potere”:
un altissimo membro del Politburo polacco degli anni ’70 viene
destituito da ogni carica e potere, privato degli affetti e mandato
sull’orlo del suicidio salvo poi essere promosso addirittura a Vice
Presidente della Polonia perché ha superato il “test” delle
disgrazie senza tradire il Partito. La figura per me più emblematica
del film è la guardia del suo ufficio che senza battere ciglio lo
saluta per anni ogni giorno da eroe della Rivoluzione, poi lo tratta
da sconosciuto intruso il giorno della epurazione e poi di nuovo da
eroe il giorno della riammissione: non si pone la minima domanda, non
fa trascende nè antipatia nè empatia, sa solo che il Sistema
funziona così, e il Sistema non si discute.
Sono
due esempi molto netti di come la preponderanza della burocrazia
abbia come esisto finale la deresponsabilizzazione dell’individuo,
ma anche la sua sostanziale inconsistenza fisica e ontologica: egli è
solo spettatore di una serie di meccanismi che lo riguardano ma che
lo inghiottono trasformando anch’egli in un mero passaggio
burocratico.
Credo
che a nessuno di noi sfugga quanto oggi la mistificazione della
realtà e la scomparsa dell’individuo siano fenomeni in ascesa
inarrestabile, complice una sempre più invadente burocratizzazione
delle procedure in ogni campo della nostra vita. Chi scrive teme che
non vi sia rimedio, ma è certo che accorgersene è almeno il primo
passo da compiere.