Archive for Agosto, 2021

Ago 28 2021

i più eguali-centocinquantatre 28 08 2021

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I PIU’ EGUALI – centocinquantatre

Dalle mie 70 cartelle sui processi senza editore, stiamo avviandoci alle conclusioni, mentre Iori il 14 ottobre festeggia quel che sapete.

—La pecca più grave, mai spiegata, solo abbozzata, è l’azione principale, su cui poggia il processo, che altrimenti deve finire subito: come sia possibile, a chiunque, non solo a Iori, rifilare a due persone nella stessa piccola stanza, in tempi vicini ma immediatamente successivi, 95 pastiglie di Xanax, e di nascosto; e la madre è quasi a

digiuno, la bimba ha già cenato. La “bozza” della prima Corte è esemplare al punto che tiene fino in Cassazione: anzitutto le pastiglie diventano gocce, poi si riducono a un paio di spruzzatine su cibi o bevande; si passa sopra (sul tavolo restano contenitori di pastiglie, non di gocce) che il referto dell’autopsia sia chiaro: intossicazione acuta, per cui le poche spruzzatine sono escluse, e che dall’esame dello stomaco, fatto a occhio nudo, senza microscopio, non sia possibile stabilire se pastiglie o gocce. Quale assassino, in aggiunta, corre il rischio di dar le gocce, portar via i flaconcini, lasciare i contenitori, e soprattutto, per quale motivo?

Il motivo è uno solo, ma è dei giudici, che con le pastiglie non troverebbero il coraggio di condannare, però sono convinti Iori sia colpevole; basta rivedere come indirizzano la deposizione dell’agente Marchetti!

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Ago 28 2021

cremonesità-cento 28 08 2021

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CREMONESITA’ – cento

Mentre Cremonaoggi pubblica che la mortalità in città e provincia è tornata a livelli pre-covid, la Provincia fin che c’è sì accorge che 200 metri di via Castelleone son pieni di buche. Le notizie vere le leggo invece su www.cremonasera.it!

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Ago 28 2021

oremus 28 08 2021

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OREMUS

Il caro amico Renato Crotti semina cultura, anche quella tenuta per bassa!

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—DOMENICA PIZZIGHETTONE SI TINGE DI GIALLO PER LA PRIMA EDIZIONE DI “MURA IN NOIR”. UN’INTERA GIORNATA DEDICATA AL BRIVIDO MADE IN ITALY

DI ROBERTO GUGLIELMI

Se siete amanti del romanzo giallo italiano, domani non prendete impegniDomenica 29 agosto, presso la cerchia muraria di Pizzighettone (in via Boneschi), dalle 10 alle 20 si terrà “Mura in Noir”. Festival del giallo italiano. ? evento porterà nella fortezza sull’Adda quattro autori di gialli e noir italiani, offrendo al pubblico una domenica di incontri dedicati a un genere letterario molto caro ai lettori. Nell’arco della giornata, nello splendido cortile del rivellino, chiacchiereranno con Angelita Pierro e Damiana Tentoni, in compagnia del pubblico, Paola Barbato (ore 11.00), Raul Montanari (ore 15.00), Valerio Varesi (ore 16.30) e Francesco Recami (ore 18.00), per parlare dei loro libri e di molto altro ancora. Da sempre il giallo fornisce una visuale inconsueta su problematiche di tipo sociale, politico e culturale, spesso proponendo una interessante chiave di lettura della società contemporanea. E il giallo italiano, che ha una lunga tradizione alle spalle e sta vivendo una stagione particolarmente felice, si presta ottimamente allo scopo, grazie anche ai variegati scenari geografici e sociali che caratterizzano il Belpaese. Gli scrittori che saranno ospitati in questa prima edizione di Mura in Noir, proprio per i loro modi particolari di trattare il genere, declinano la letteratura gialla secondo sensibilità molto differenti, che potranno sollecitare la curiosità di lettori dai gusti più diversi. Durante la manifestazione, nella casamatta 6 sarà possibile visionare e acquistare i libri degli autori presentati, ma anche di altri scrittori, grazie ai punti vendita allestiti dalle librerie Badalù Racconta e Spotti. L’accesso all’evento sarà libero e senza prenotazione fino a esaurimento posti, nel rispetto della normativa anti covid. In caso di maltempo, gli incontri si svolgeranno nella casamatta 1. La manifestazione è organizzata dall’assessorato alla Cultura, Pizzighettone Fiere dell’Adda, Pro Loco, Lib(e)ri a Casa Mia di Angelita Pierro e Informagiovani Pizzighettone Info: cultura@comune.pizzighettone.cr.ithttps://www.facebook.com/cultura.pizzighettone; https://www.comune.pizzighettone.cr.it/it

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Ago 28 2021

il complice inesatto 28 08 2021

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IL COMPLICE INESATTO

Da Repubblica: “”Oggi ho avuto il piacere di salutare Viktor Orbàn, in visita privata a Roma – scrive Meloni in un post su Fb – Abbiamo fatto il punto sulle vicende internazionali di questi giorni, a partire dall’Afghanistan e dalla necessità di coinvolgere i paesi confinanti nell’accoglienza dei profughi senza gravare ulteriormente sull’Europa. Ma abbiamo anche parlato di come sostenere la ripresa economica dalla pandemia. Insieme continuiamo a lavorare verso l’obiettivo comune di avere una destra europea sempre più forte e decisiva”.

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Ago 28 2021

rimini meno 28 08 2021

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RIMINI MENO

Dall’Avvenire, che mi sembra ridacchi…..

—Meno visitatori e meno sponsor degli anni ruggenti, meno potenti e meno codazzi, meno lobbisti e meno metri quadri occupati… eppure il ritorno del Meeting ‘in presenza’ è stato la notizia dell’estate ecclesiale, culturale e politica. Si era capito già lo scorso anno, quando, in un’estate pavida e incredula, divisa tra il popolo del mojito e quello della pandemia sociale, la Fondazione riminese aveva deciso – con tenacia molto ciellina – di organizzare ugualmente un Meeting lunare, tutto in remoto, fatto di webinar e conference call, pieno di ospiti ma vuoto di pubblico in carne e ossa.

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Ago 28 2021

l’esordio 28 08 2021

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L’ESORDIO

di Stefano Mauri su www.cremonasera.it: di che natura poteva essere?

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—Antonio Bonetti (Bistek di Trescore): il segreto dei tortelli cremaschi? “Vince il modello sagra”

Si mormora, mi raccomando diciamolo e scriviamolo sottovoce (altrimenti la concorrenza si incacchia), che … i suoi Tortelli Cremaschi, ecco siano tra i migliori sulla piazza. Ah, restando in tema per così dire “Tortellesco”, tempo fa, praticamente inserendo il pieno (del Tortello Cremasco ovviamente) dentro morbidi, grandi gnocchi di patate, tra le altre cose… si è inventato, da attento cuoco ricercatore qual è, le ricercatissime Gnocche Cremasche. Ebbene, Antonio Bonetti (colui il quale da buon ricercatore appassionato, lottò anni fa per far diventare Dop il Salva Cremasco) da Trescore Cremasco e il suo Bistek (sopra e sotto) beh ormai sono leggenda, o meglio, rappresentano la ristorazione padana e cremasca nel resto mondo. Mentre la sottostante birreria gestita dal fratello ha fatto la storia del mondo “birraio” nostrano. E per capire che aria tira dalle sue parti e se è vero, come si mormora, che andrà in pensione (e il Bistek che fine farà?), con lui abbiamo scambiato quattro chiacchiere.

Gnocca contro Tortello chi vince, come va la kermesse?

-Pari e patta che entrambi i piatti vanno alla grande. Prima della pandemia arrivava tanta gente da fuori incuriosita e desiderosa di assaggiare proprio il piatto nostrano per eccellenza

E’ l’effetto Luca Guadagnino che li ha piazzati, i tortelli, nel suo film da Oscar “Chiamami col tuo nome”?

-Non so poi io essendo di Trescore non rientro nel grande giro di Crema. Mah…

Sai che pare che i tuoi Tortelli Cremaschi rientrano nel ristretto club dei più gettonati e graditi?

-Io li faccio seguendo il cosiddetto per così dire “modello da sagra”. Una volta infatti, in concomitanza delle feste paesane se ne facevano tantissimi e più che alla forma si badava alla sostanza. Mi concentro proprio sul pieno, tutto macinato e la ricetta è segreta e vecchia, risale alla mia povera nonna che mi diceva: i tortelli da trattoria devono essere più buoni di quelli fatti in casa, altrimenti la gente al ristorante non li mangia. In ogni paese c’è una versione e una ricetta, l’importante è che si utilizzi l’Amaretto Gallina e che nel ripieno non ci sia la carne. Per quanto mi riguarda poi, fatti saldi questi principi, ognuno può sbizzarrirsi come vuole. A Crema per esempio va la formula a cinque pizzichi. A Vaiano Cremasco è addirittura quadrato. Queste diversità arricchiscono il piatto che rappresenta il nostro territorio.

-Che vino abbinare ai Tortelli dolci cremaschi?

Piatto ricco e denso di gusto, burro e Grana Padano, io li adoro accompagnati ad un Barbera vivace dell’Oltrepò Pavese. Ora tuttavia è di gran moda il Lambrusco, in tutte le sue tipologie, ben freddo, servito in grandi, ampi calici.

In giro per Crema e Hinterland si fa sempre più fatica a trovare del buon salame nostrano.

Le istituzioni cremasche dovrebbero attivarsi per istituire una Dop ad Hoc, sulla falsa riga di quanto è stato fatto a Cremona, poiché produrre quello che io chiamo Nobile Salame Cremasco costa e richiede tanta, ma tanta burocrazia.

-Come mai nobile?

Nel fare il Salame Cremasco rientrano le cosiddette parti posteriori e ricche di gusto del suino.

-Da quanti anni col ristorante Bistek di Trescore Cremasco illumini la ristorazione lombarda?

Dal 1968.

-E’ vero che l’avete messo in vendita?

La pensione si avvicina, i figli hanno preso altre strade, io e mia moglie Ornella saremmo contenti se arrivasse qualcuno disposto ad affiancarci nella complessa attività che ci prende da una vita, ma vedo difficile si realizzi tale scenario, soprattutto in questi momentacci cupi, tempi di crisi economica ed emergenza sanitaria. Così sì dinanzi a un’offerta giusta, seguendo il nostro nuovo motto: pochi, maledetti e … subito dal notaio, potremmo prendere in considerazione l’ipotesi di cedere il testimone.

-Davide Caleffi, unico viticoltore cremonese sostiene che l’agricoltura nostrana debba riprendere in considerazione, per diversificare, l’opportunità di fare vino dalle nostre parti…

Mah storicamente il vino si faceva addirittura a Crema, in città, presumibilmente nel quartiere denominato e conosciuto del Pergoletto. Ora l’Istituto Agrario coltiva la vite appena fuori Madignano, ma secondo me, la zona più vocata potrebbe essere quella che da Romanengo va verso Casaletto di Sopra passando per la Melotta e i suoi piani alti naturali spettacolari.

-Sei diventato un informato e denso Food Blogger, complimenti …

Grazie mi è sempre piaciuto scrivere e ho parecchie cose da raccontare.

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Ago 28 2021

ancora olindo e rosa 28 08 2021

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ANCORA OLINDO E ROSA

Questa volta è il Dubbio, che conclude l’articolo così, con Gullotta picchiato e 384 contraddizioni; pensassero e scrivessero sul caso Formigoni…..

—Molti casi giudiziari confermano che anche gli innocenti confessano

In ultimo sulla confessione: anche gli innocenti confessano. Un esempio su tutti: Giuseppe Gulotta nel febbraio del 2012, all’esito di una sentenza di assoluzione, dopo trentasei anni di calvario giudiziario e ventidue anni di carcere, viene assolto per non aver commesso il fatto. Era accusato dell’omicidio di due carabinieri ad Alcamo Marina, in provincia di Trapani. Fu picchiato e costretto a confessare. E ancora, come riportato nel libro “I grandi delitti dalla ’A’ alla ’Z”’ di Gennaro Francione ed Eugenio D’Orio, negli Usa «nel 25% dei casi in cui una persona è stata scagionata grazie all’esame del Dna, l’imputazione era avvenuta tramite una falsa confessione».

Per quanto riguarda Olindo e Rosa, come disse uno dei legali, Nico D’ Ascola, « è vero che i Romano confessano la loro responsabilità, ma lo fanno sulla base di una ricostruzione dei fatti nella quale l’avvocato Schembri è stato capace di individuare ben 384 contraddizioni rispetto alla realtà dei fatti che risulta da prove oggettive e accertate». Per chi fosse interessato, segnaliamo una approfondita inchiesta de Le Iene, a cura di Antonino Monteleone.

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Ago 28 2021

il piccolo fatto vero 28 08 2021

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IL PICCOLO FATTO VERO

raccolto con grazia e affetto da Gilberto Bazoli, e non son l’unico a pensar così, visti i numerosi mi piace, per www.cremonasera.it!

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—Fiorella Domaneschi scopre sul web dov’è morto ed è sepolto in Germania il fratello della mamma, inghiottito nel nulla nel ’43

Da bambina sentiva parlare spesso di quello zio andato in guerra e mai tornato a casa. “Non si sapeva niente di lui se non che era sepolto in Germania”. Il ricordo non l’ha abbandonata per tutta la vita e, ora che bambina non lo è più, si è messa sulle tracce di quel soldato sconosciuto.

E’ così che Fiorella Domaneschi, 68 anni, pensionata, ex dipendente dell’amministrazione provinciale di Cremona, ha ricostruito con tenacia e passione gli ultimi momenti di Renato Pasini.

Ho scoperto che è stato internato nell’ospedale militare di Fullen, dove la tisi non gli ha lasciato scampo”. Ed è sempre così che ha ritrovato una sua lettera spedita alla famiglia dal luogo di detenzione ma mai giunta a destinazione. Poche righe, semplici ma struggenti, scritte cinque mesi prima di morire. 
Mia nonna, Maria Maddalena, aveva due figli e due figlie, ma raccontava spesso del suo primogenito, Renato. Gli voleva molto bene e portava al collo un medaglione, che in seguito le è stato rubato, con la sua immagine”, dice la nipote. Lo zio, nato a Cremona il 22 settembre 1923 e deceduto il 25 maggio 1944, era partito per il fronte nemmeno ventenne. Anche la madre di Fiorella, Luisa, 89 anni, parlava con affetto del fratello inghiottito dal nulla.

Fiorella l’ha conosciuto attraverso le loro parole. “Dicevano che era bello. Ma, quando si è giovani, non si presta molta attenzione a queste cose, che però si sedimentano nel nostro cuore e riaffiorano più forti con il passare del tempo. Mi è sempre rimasto il desiderio di colmare quel vuoto”.

Ha deciso di farlo a gennaio, quando si è seduta al computer e ha cominciato le ricerche. “Pur non essendo un’esperta on line, mi sono imbattuta nell’Albo dell’Imi, sigla che sta per Italiani militari internati. Ho digitato il nome dello zio e sono comparsi, tra la mia sorpresa, alcuni dati, compresa la data della sua morte. Quella esatta, diversa dalla data, sbagliata, riportata sulla lapide, vicina alla chiesa, in onore dei 16 caduti di San Sigismondo”. Lì, come sagrestano, lavorava il nonno, Primo.  “Davanti all’altare c’era un’acquasantiera dove le donne del posto avevano l’abitudine di immergere le fotografie dei loro figli che si erano arruolati: se la foto rimaneva a galla, significava che erano vivi; se andava a fondo, non c’erano più speranze. Quella appoggiata da mia nonna è andata giù”.
La nipote non si è accontentata delle prime informazioni ottenute. “Ho scritto all’Archivio di Stato, a cui è stata trasmessa la documentazione del Distretto militare”.

Poco alla volta, il puzzle si è ricomposto. Il soldato, probabilmente un bersagliere, era stato catturato dai tedeschi dopo l’8 marzo e portato nel lager di Fullen, nei pressi di Amburgo, un ospedale militare tristemente noto come ‘campo della morte‘. Tra le carte recapitate è spuntata la lettera inviata, il 2 dicembre 1943, da Renato alla mamma ma forse trattenuta dal Distretto militare: “Cari genitori, in occasione del Santo Natale, ho avuto la fortuna di scrivere e vi faccio sapere che per il momento sto bene, come spero di tutti voi. Informatevi per il pacco. Tanti saluti e auguri di buon Natale a tutti voi”. Altre cartoline erano invece state consegnate, come quella in cui il soldato dice (con una frase appuntata sotto il bollo sfuggita alla censura) che a Fullen si mangiavano le bucce delle patate, ma sono andate perdute. Come pure alcune foto.

Un compagno di prigionia dell’italiano ha descritto così la vita dietro il filo spinato: “I pazienti giacciono, uno vicino all’altro, su nude tavole, coperti solo dal proprio vestito ridotto a pochi stracci luridi, lasciando scoperte più parti del corpo lorde di sporcizia. La baracca è lercia, senza luce, senza stufe, infestata dall’odore sgradevolissimo di un insetticida che i tedeschi usano in abbondanza. Al trovarmi in tanta miseria, fra un formicolio di esseri umani ridotti a larve, in una nube afosa, satura di fumi e di polveri, mi pare quasi di impazzire”. Di Fullen parla, nel libro ‘Binario morto‘, Ferruccio Francesco Frisone, un pittore di Malnate (Varese) che ha tenuto un diario di quei giorni e a cui i carcerieri avevano affidato il compito di disegnare le croci degli internati deceduti e sepolti nel vicino cimitero. Tra i nomi dei 713 caduti riportati da Frisone c’è anche quello del soldato di san Sigismondo, sotterrato nella fila A del camposanto di Fullen, tomba 15.
Ora, grazie alle ricerche della nipote, tutto questo non e’ più avvolto dalla nebbia. La nebbia alzatasi anche sulle uniche parole che rimangono dello zio. “Quando le ho lette, mi sono commossa. Anche se non l’ho conosciuto, l’ho sempre sentito vicino, uno di famiglia. Sono orgogliosa di aver fatto luce sull’ultima parte della sua esistenza perché i miei nonni, oltre a mia mamma, gli erano molto legati: se avessero potuto, sarebbero partiti alla sua ricerca per ritornare a casa con la sua bara. Adesso che conosco il luogo dove riposa, sarebbe bello andarci con un Viaggio della memoria e portare un fiore”.

Il desiderio di verità è stato appagato, ma non del tutto. “Ora mi piacerebbe scoprire dove ha combattuto e dove lo hanno fatto prigioniero”. La borsa gialla in cui sono custodite gelosamente la lettera natalizia e tutta l’altra documentazione sul soldato ritrovato potrebbe arricchirsi di nuove pagine. 

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Ago 28 2021

tesi di laurea 28 08 2021

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TESI DI LAUREA

Gli articoli di Francesco Martelli su www.cremonasera.it, in sintesi, lo sono!

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Sempre più burocrazia, mistificazione della realtà e scomparsa dell’individuo

Occuparsi di archivi significa occuparsi anche molto di burocrazia, o meglio dei sistemi attraverso i quali una burocrazia opera. La cosiddetta “gestione documentale” è di fatto il sistema attraverso il quale un grande apparato, pubblico o privato, trasforma in atti concreti delle strategie attraverso dei passaggi amministrativi, che posso essere cartacei o digitali. Si potrebbe dire che l’archivistica, studiando suo malgrado i sistemi e i meccanismi della documentazione burocratica, è in un certo senso anche “burocraziologia”. Badate bene che tutto questo è molto più cruciale e fondamentale di quanto possiamo immaginare, soprattutto nel mondo di oggi. Noi siamo presi in una manovra “a doppia tenaglia”: da un lato la inarrestabile pressione del marketing ovunque, per cui esistiamo solo se spendiamo, dall’altro la inesorabile garrota delle mille burocrazie, per cui anche se non spediamo i soldi ci vengono estorti giocoforza, con all’orizzonte la nostra inconsistenza fisica di individui. E tutto ormai, dalla nostra salute ai nostri denari, fateci caso, dipende solo ed esclusivamente da sistemi, protocolli, procedure, moduli. 

Per la verità dovremmo distinguere tra la gestione documentale, che è un circolo virtuoso di sistemi e strumenti che consentono alle nostre necessità quotidiane di venire rapidamente ed agevolmente soddisfatte, e la burocrazia che è invece un circolo vizioso nel quale la soluzione dei nostri problemi si arena senza speranza.

La burocrazia, il potere deli uffici ( bureau – kratòs) ha sempre come peculiare caratteristica una infrangibile macchinosità procedurale, e come deformazioni conseguenti la deresponsabilizzazione dell’individuo e la mistificazione della realtà. 

La mistificazione della realtà.

Nel 1971 la scrittrice ebrea americana Hanna Arendt tenne una conferenza sui cosiddetti “Pentagon Papers”, ossia quella serie di enormi dossier governativi sul disastroso andamento della guerra nel Vietnam volute dall’allora Segretario alla Difesa USA Robert MacNamara e che vennero pubblicati sul New York Times proprio durante il conflitto. A scatenare la polemica non vi furono strepitose rivelazioni su misfatti guerreschi, ma il fatto che nei dossier si percepisse una sistematica sostituzione delle teorie dei consulenti del Governo, formatisi nella esclusivissima Ivy League, al reale andamento della guerra. Una sorta di approccio ideologico alla realtà con delle teorie, che dovevano per forza funzionare perché provenivano dalla élite delle università americane (ivy significa edera, la Ivy League è l’insieme dei più prestigiosi college dell’establishment americano, i cui edifici storici sono ricoperti di edere come quelli inglesi). Teorie che non solo non funzionavano, ma anzi peggioravano esponenzialmente l’andamento delle realtà bellica. Secondo la Arendt, il disastro fu generato dal fatto che gli intellettuali del Pentagono sostituissero pedissequamente le loro teorie alla realtà: “ciò che è realmente pericoloso non è la contrapposizione tra vero e falso, ma tra reale e fittizio. Ossia la sostituzione della realtà con una generica verità costruita”, che finisce per diventare finzione alla quale si crede senza porsi domande ma modificando i propri comportamenti. Chissà se vi ricorda qualcosa di recente… 

Nel 1964 Mao ordinò ai cinesi di estirpare erba e fiori dai giardini, in quanto la loro coltivazione era dal Grande Timoniere ritenuta borghese e feudale. Trasmise il verbo al Partito e da esso, attraverso la burocrazia partitica, a tutti i remoti angoli dell’immenso limbo della Cina maoista. La scrittrice Jung Chang, ricordando quei momenti, nota che anche se tra i cinesi la coltivazione dei fiori era amatissima e diffusissima, fecero senza piega quello che diceva il Regime perché “non eravamo stati educati a trarre le conclusioni dai fatti, ma a partire dalle teorie marxiste o dalle parole di Mao o dalla linea del partito”. Come nell’America dei bureau del Pentagono, l’intenzione elitaria prevale sul bisogno reale.

Questa contrapposizione che ha condizionato il mondo per 50 anni, tra l’approccio leninista sovietico, che era l’uso della violenza sulla realtà per renderla come la vuole l’ideologia, e quello americano piuttosto calvinista, che è sempre stato la costruzione di una realtà edulcorata, edonista e fittizia, ha come peculiarità che si addiviene alla medesima condizione: la mistificazione della realtà appunto.

Oggi che questa contrapposizione è finita, ci è rimasta solo la mistificazione della realtà, che avviene attraverso la globalizzazione mediatica del pensiero unico delle nuove élite, i social network, che hanno come unico scopo la vendita commerciale ma attuata attraverso una graduale mutazione di abitudini, bisogni, comportamenti indotta da opinioni collettive eterodirette. 

La deresponsabilizzazione dell’individuo.

Sempre Hanna Arendt seguì tutto il processo israeliano al più grande criminale nazista sopravvissuto a Norimberga, Adolf Heichmann, e lo definì “un uomo banale, mediocre, imbevuto di una ideologia cui aderiva senza porsi alcuna responsabilità individuale”, un grigio burocrate che eseguiva pianificava e trasmetteva ordini (cose che peraltro affermò con un candore orrorifico Heichmann stesso al processo), insomma un burocrate dello sterminio, per il quale eliminare gli ebrei era una procedura come un’altra. 

C’è un film polacco del 1990, con un ottimo Donald Sutherland, che si chiama “L’esercizio del potere”: un altissimo membro del Politburo polacco degli anni ’70 viene destituito da ogni carica e potere, privato degli affetti e mandato sull’orlo del suicidio salvo poi essere promosso addirittura a Vice Presidente della Polonia perché ha superato il “test” delle disgrazie senza tradire il Partito. La figura per me più emblematica del film è la guardia del suo ufficio che senza battere ciglio lo saluta per anni ogni giorno da eroe della Rivoluzione, poi lo tratta da sconosciuto intruso il giorno della epurazione e poi di nuovo da eroe il giorno della riammissione: non si pone la minima domanda, non fa trascende nè antipatia nè empatia, sa solo che il Sistema funziona così, e il Sistema non si discute.

Sono due esempi molto netti di come la preponderanza della burocrazia abbia come esisto finale la deresponsabilizzazione dell’individuo, ma anche la sua sostanziale inconsistenza fisica e ontologica: egli è solo spettatore di una serie di meccanismi che lo riguardano ma che lo inghiottono trasformando anch’egli in un mero passaggio burocratico.

Credo che a nessuno di noi sfugga quanto oggi la mistificazione della realtà e la scomparsa dell’individuo siano fenomeni in ascesa inarrestabile, complice una sempre più invadente burocratizzazione delle procedure in ogni campo della nostra vita. Chi scrive teme che non vi sia rimedio, ma è certo che accorgersene è almeno il primo passo da compiere.

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Ago 28 2021

cibo prima ricchezza 28 08 2021

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CIBO DIVENTA PRIMA RICCHEZZA DEL PAESE

Con l’emergenza sanitaria il cibo è diventato la prima ricchezza dell’Italia per un valore pari al 25% del Pil

Con l’emergenza sanitaria il cibo è diventato la prima ricchezza dell’Italia per un valore pari al 25% del Pil con 538 miliardi di euro lungo l’intera filiera agroalimentare dal campo alla tavola e ben 4 milioni di lavoratori impegnati in 740mila aziende agricole, 70mila industrie alimentari, oltre 330mila realtà della ristorazione e 230mila punti vendita al dettaglio. Lo ha reso noto il presidente della Coldiretti Ettore Prandini con il suo intervento nell’ambito dell’incontro “Food Coalition – La sfida della nutrizione in tempo di pandemia” al Meeting di Rimini dove la Coldiretti ha aperto il primo salone 2021 dei tesori agroalimentari salvati dall’estinzione grazie all’impegno e al lavoro dei contadini italiani. Il successo dell’alimentare Made in Italy è confermato dal record storico nelle esportazioni con un balzo dell’11,2% nei primi sei mesi dell’anno e punta per il 2021 verso la cifra di 50 miliardi di euro, mai registrata nella storia dell’Italia. Un risultato ottenuto nonostante le difficoltà degli scambi commerciali e i lockdown con il blocco della ristorazione che ha pesantemente colpito i prodotti Made in Italy.

Tra i principali appassionati dell’Italia a tavola ci sono gli Stati Uniti che fanno registrare un balzo delle richieste del 18,4%. Positivo l’andamento anche in Germania che si classifica al primo posto tra i Paesi importatori di italian food con un incremento del 6,8%, praticamente lo stesso della Francia (+6,7%) che si colloca al terzo posto mentre al quarto c’è la Gran Bretagna dove a causa della Brexit, con l’appesantimento dei carichi amministrativi, l’export alimentare crolla del 4,6%. Fra gli altri mercati si segnala la crescita del 16,5% di quello russo e un vero e proprio balzo in avanti di quello cinese con +57,7%.

L’Italia può ripartire dai suoi punti di forza con l’agroalimentare che ha dimostrato resilienza di fronte la crisi con un ruolo di traino per l’occupazione e l’intera economia, per questo abbiamo elaborato e proposto progetti concreti nel Pnrr per favorire l’autosufficienza alimentare e una decisa svolta verso la rivoluzione verde, la transizione ecologica e il digitale con la creazione di un milione di posti di lavoro green entro i prossimi 10 anni” ha affermato il Presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “per sostenere il trend di crescita dell’enogastronomia Made in Italy serve però agire sui ritardi strutturali dell’Italia e sbloccare tutte le infrastrutture che migliorerebbero i collegamenti tra Sud e Nord del Paese, ma anche con il resto del mondo per via marittima e ferroviaria in alta velocità, con una rete di snodi composta da aeroporti, treni e cargo. Una mancanza che ogni anno – continua Prandini – rappresenta per il nostro Paese un danno in termini di minor opportunità di export al quale si aggiunge il maggior costo della “bolletta logistica” legata ai trasporti e alla movimentazione delle merci”.

L’emergenza globale provocata dalla pandemia ha fatto emergere una consapevolezza diffusa sul valore strategico rappresentato dal cibo e sulle necessarie garanzie di qualità e sicurezza con l’Italia che può contare su una ricchezza che non ha solo un valore economico ma anche storico, culturale ed ambientale. L’Italia ha 504 varietà iscritte al registro viti e 533 varietà di olive, è il primo produttore UE di riso, grano duro e vino e di molte verdure e ortaggi tipici della dieta mediterranea come pomodori, melanzane, carciofi, cicoria fresca, indivie, sedano e finocchi. E anche per quanto riguarda la frutta primeggia in molte produzioni importanti: dalle mele e pere fresche, dalle ciliegie alle uve da tavola, dai kiwi alle nocciole fino alle castagne.

Un patrimonio minacciato dalle imitazioni internazionali che non hanno alcune legame con il sistema agricolo nazionale. “Servono sistemi di etichettatura trasparenti sull’origine delle materie prime e che non siano ingannevoli e nello stesso tempo, non possiamo pensare a un modello dove vi sia spazio per l’artificio e i cibi sintetici, dove si assista alla concentrazione eccessiva dei fattori produttivi, dove prevalga l’interesse particolare delle grandi multinazionali che spingono per l’omologazione su un modello in sostanza dove il cibo sia sempre una commodity” conclude Prandini nel sottolineare che invece “con la nostra idea di filiera sostenibile vogliamo affrontare il futuro non solo creando valore economico, ma guardando anche alla sua distribuzione e alla capacità di restituire valori positivi, sotto il profilo ambientale, sociale, territoriale”.

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