Archive for Marzo, 2023

Mar 31 2023

maurizio iori 31 03 2023

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MAURIZIO IORI

s’avvicina alla condanna….

Francoforte 31 03 2023  flcozzaglio@gmail.com

—Almeno, io, non la so trovare; specie se penso al principio fondamentale del 533 del codice di procedura, che, continuo a ripetere, deve essere il messale di chi recita il processo:

“Il giudice pronuncia sentenza di condanna se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio”

Rinforzato dal 530/2, nel caso il giudice sentisse dover spiegare perché, “convinto” della colpa, non ha condannato:

“Il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l’imputato lo ha commesso”

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Mar 31 2023

enzo jannacci 31 03 2023

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ENZO JANNACCI

Mi ricordo Prete Liprando, ben visto dai poveri cristi, che andava contro l’arcivescovo, e vinceva lui; da www.cremonasera.it

Francoforte 31 03 2023  flcozzaglio@gmail.com

—Ricordo di Jannacci, il disco di Mina del 1977 e le lezioni di dialetto milanese a Ugo Tognazzi per “Romanzo Popolare”

Dieci anni fa, il 29 marzo, ci lasciava uno dei più grandi personaggi della musica e dello spettacolo italiano. Enzo Jannacci, cabarettista, comico, cantante, autore, pianista, medico, ha segnato la storia musicale del dopoguerra con una verve ironica capace di conquistare milioni di persone. Nel 1977 Mina gli dedicò un album tributo di dieci brani in cui la tigre di Cremona reinterpreta i brani del cantautore milanese. La raccolta “Mina quasi Jannacci” venne inizialmente venduta in abbinata ad un altro album della cantante cremonese, “Mina con bignè“.  Più recentemente Cremona ha omaggiato il grande artista con un’edizione di “Back To School: Back to Jannacci“, che ha visto nel 2014 la partecipazione del figlio Paolo, musicista a sua volta. A dieci anni dalla scomparsa la sua arte affascina ancora le giovani generazioni che si uniscono agli ascoltatori più maturi nell’inevitabile sorriso che ciascuno dei suoi brani riesce ancora a strappare. 

Nella memoria collettiva di Enzo Jannacci a Cremona rimane uno splendido concerto alla Palestra Spettacolo (forse nel 1985) organizzato da Enrico Pighi. E poi un episodio che riguarda il dialetto cremonese. 

1974, Ugo Tognazzi doveva girare “Romanzo popolare” diretto da Monicelli. Ugo interpretava Giulio Basletti, operaio metalmeccanico milanese, attivista sindacale e tifosissimo del Milan sposato con la giovanissima Vincenzina (Ornella Muti). Tognazzi doveva spesso parlare in milanese ma il suo accento sapeva troppo di Torrazzo e di parole strascicate come si usa nel cremonese. Così, sul set, si fece aiutare proprio da Enzo Jannacci e Beppe Viola, milanesi doc, che gli insegnarono e Monicelli si ritrovò Tognazzi, un magnifico metalmeccanico milanese che parlava un perfetto dialetto meneghino.

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Mar 31 2023

il cavolo 31 03 2023

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L CIBO GIUSTO

PREPARA IL TUO ORTO

CAVOLO, LA RACCOLTA TRA STORIA E TRADIZIONE

Ecco qualche consiglio del nostro tutor dell’orto sulla coltivazione e sulla raccolta di questa verdura che si adatta a qualsiasi tipo di terreno

Il cavolo (Brassica oleracea), appartiene alla famiglia delle Brassicacee. Esistono molte varietà differenti: il cavolo nero, il broccolo, il cavolo cappuccio, di Bruxelles, cavolfiore, cavolo riccio e il cavolo greco.

Nell’antichità, i nostri cavoli erano coltivati principalmente per le loro proprietà curative e medicinali. Era usato per curare disturbi come sordità, la gotta e problemi gastrointestinali. Secondo gli antichi Romani e Greci, il cavolo era considerato così prezioso che poteva sostituire addirittura l’aglio, all’epoca base per ogni tipo di cura. Anche Catone il Vecchio considerava il cavolo come un rimedio contro le malattie, come fonte di giovinezza e di virilità.

Poi nel Medioevo divenne il segno distintivo del cibo popolare e contadino, povero e poco raffinato. Nonostante ciò, fu l’alimento più consumato in Europa, perché facile da coltivare, produttivo e altamente conservabile.

Una leggenda romana ci narra, che ci fosse inimicizia tra il cavolo e la vite, perché Licurgo, Re della Tracia, distrusse le vigne di Bacco che, per punirlo, lo legò alla vite. Le lacrime del Re versate a terra si trasformarono in cavoli. Stando alla tradizione contadina, se pianti un cavolo vicino alla vite, esso si sposterà da solo da un’altra parte.

Da sempre il cavolo è considerato anche il simbolo della fecondità. Infatti viene raccolto dopo nove mesi dalla semina, questo riconduce proprio al periodo di gravidanza di una donna. Per questo si dice che i bambini nascono dai cavoli.

Ma adesso, siccome non è il periodo della coltivazione del cavolo ma della raccolta, vediamo insieme come si raccoglie.

Prima di vedere come si raccoglie, alcune nozioni generali sulla coltivazione. Il cavolo si adatta a qualsiasi tipo di terreno, ma ne predilige uno di medio impasto, fresco, fertile e ben drenato. Vuole un clima temperato, anche se le alte temperature e i venti caldi favoriscono la fioritura. Il cavolo ha bisogno di una concimazione minima a base di azoto, fosforo e potassio. L’annaffiatura dovrà essere regolare e costante, senza creare ristagni d’acqua.

Il cavolo si raccoglie quando la testa si presenta compatta e senza spaccature. Non bisogna farlo crescere troppo perché altrimenti potrebbe marcire. Con un coltello a lama lunga e affilata tagliate i fusti cinque dita sotto l’inflorescenza e lasciate la pianta nel campo. E, con l’aiuto di condizioni climatiche favorevoli, si svilupperanno nuove unità più piccole.

Quando si effettua la raccolta dei cavoli (anche di tutti gli ortaggi in generale), si devono tener conto di alcune pratiche fondamentali per la conservazione del prodotto: bisogna rimuovere le parti guaste e i residui di terra dagli ortaggi, prima di depositarli, con delicatezza, nei contenitori di raccolta; mettere al riparo il raccolto in un luogo ombreggiato e fresco, in particolare durante le stagioni calde.

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Mar 31 2023

capitale del mondo 31 03 2023

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COMANDANO LORO

La separazione delle carriere, uno studio da non permettere; comandano loro, basta vedere sui giudici, loro comandano; www.cremonasera.it

Francoforte 31 03 2023  flcozzaglio@gmail.com

—«Siamo di fronte», contesta l’Anm, «a una manifestazione di unilateralità della visione ministeriale, che svilisce il contributo di idee e di proposte con cui sempre l’Associazione nazionale magistrati ha saputo arricchire il dibattito pubblico sui temi della giustizia, e del processo penale in particolare». Sembrerebbe una contestazione dovuta solo all’incidente diplomatico. E lo stesso Nordio tende a respingere, nella propria replica, qualsiasi dietrologia: segnala che nella commissione “tecnica” sono «inseriti imprescindibilmente diversi magistrati», ricorda l’incontro «concordato con il presidente Santalucia» del 4 aprile e si dice certo che «l’apporto sinergico delle diverse componenti del sistema giustizia condurrà alla individuazione di soluzioni efficaci, nel doveroso rispetto del pluralismo culturale». Eppure già si scorgono tutti i possibili rischi di un’azione riformatrice destinata a non entusiasmare i magistrati: basti pensare al divieto d’appello per i pm. Tutto questo senza che Nordio abbia indicato dove intende collocare, nel cronoprogramma, la separazione delle carriere. Una cosa è certa: pensare che si possa attuare un piano come quello del guardasigilli senza entrare in conflitto con l’Anm sarebbe una pia illusione.

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Mar 31 2023

un gran caldo 31 03 2023

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UN GRAN CALDO

Una storia da leggenda, che viviamo oggi, la siccità, e fa bene Beatrice Ponzoni per conto di www.cremonasera.it a illustrarla com dio comanda….

Francoforte 31 03 2023  flcozzaglio@gmail.com

—Nel Paese è crisi idrica, il sistema richiede profondi cambiamenti. Abbiamo fatto il punto con il Professor Marcello Duranti prossimo importante ospite della Fiera del libro di Cremona domenica.

Il 2023, secondo Coldiretti, è fino ad oggi l’anno più caldo di sempre. I dati del Cnr rilevano  come a gennaio e febbraio si sia registrata una temperatura di 1,44 gradi più alta rispetto alla media storica. Il Nord Italia continua a soffrire con precipitazioni scarse rispetto al primo bimestre dell’anno, con un 30% di pioggia in meno rispetto al 2022. Il Po è in affanno e non è migliore la situazione dei grandi laghi con una percentuale di riempimento del 19% per il lago di Como, 36% del lago di Garda e del 40% del lago Maggiore.

Abbiamo intervistato Marcello Duranti, Professore ordinario di Biochimica presso il Dipartimento di Scienze per gli Alimenti, la Nutrizione e l’Ambiente dell’Università degli Studi di Milano. Già docente di Biochimica e biologia cellulare e molecolare per il corso di laurea in Biotecnologie vegetali, alimentari e ambientali, di cui è stato presidente. Nella sua carriera accademica ha pubblicato numerosi articoli scientifici, volumi di divulgazione scientifica e testi universitari.

Si è appassionato alla narrativa dopo un cammino in solitaria che lo ha portato da Trieste a Montecarlo lungo tutto l’arco alpino.

In seguito a questa suggestiva esperienza ha pubblicato un insolito ed avventuroso resoconto dal titolo “Sulla Via Alpina-Diario con giallo”, seguito da altri due romanzi “La Libreria” e “La cordata”, dai quali emergono la sua passione ed il desiderio di conoscenza per i segreti della natura e dell’ambiente che ci circonda.

Conclusa la carriera universitaria si è trasferito tra i monti dell’Alta Valcamonica ed alterna il cammino nei boschi alla scrittura. Il suo ultimo lavoro: “Acqua – Una storia fantastica”, pubblicato da Bookabook Narrativa, farà tappa a Cremona domenica 2 aprile, alle 17.30 presso Spazio Comune, per l’appuntamento con la Fiera del Libro, organizzata da Claudio Ardigò in collaborazione con il Comune di cremona, in cui dialogherà con Davide Persico, professore del dipartimento di scienze Chimiche, della Vita e della sostenibilità Ambientale presso l’Università di Parma, direttore del museo di storia naturale di Parma e Sindaco di San Daniele Po; modererà l’incontro la giornalista Beatrice Ponzoni. Prossima avventura?! Un cammino alla scoperta della Via Francigena Toscana. (r.c.)

-Professore, qualche giorno fa l’ONU ha lanciato un nuovo allarme di crisi idrica imminente. Qual è la situazione dei nostri fiumi?

E’ importante che le istituzioni mondiali facciano proprie le grandi criticità che affliggono questi primi decenni del nuovo millennio. Ma naturalmente non basta. Ci si deve (pre)occupare anche a livello nazionale e locale. Aggiungerei anche individuale, con comportamenti responsabili. Quanto ai fiumi del Nord del Paese questi sono in sofferenza carenziale acuta, mentre quelli del Sud sono troppo esposti alla variabilità del clima e all’incostanza delle precipitazioni.  

-Professore, lei vive la montagna a strettissimo contatto con la natura, quali sono i cambiamenti che la preoccupano maggiormente? I ghiacciai stanno scomparendo. Cosa ci sta dicendo la montagna?

Si è sempre detto che le terre alte sono territori fragili che andrebbero protetti e questa fragilità è acuita dallo spopolamento. Ma non si è mai investito con convinzione su questi luoghi per invertire la tendenza e trasformarli da debito a risorsa. Succede un po’ adesso; forse perché la crisi climatica e nello specifico quella idrica che la montagna ha sempre scongiurato, si fa pesante non tanto quassù, ma soprattutto nelle grandi pianure. E’ angoscioso veder morire i ghiacciai, ma sono ancor più gravi le conseguenze globali di questo fenomeno. 

Se ne parla molto ma, spesso, in modo non corretto. Quali sono le cause della crisi idrica che stiamo, di fatto, già vivendo? La Lombardia, in particolare, è sempre stata definita una delle regioni più ricche d’acqua. Per il territorio lombardo passano centinaia di fiumi e torrenti, il più rilevante è sicuramente il Po che attraversa Cremona. Il nostro Grande Fiume però ci preoccupa. Cosa ne pensa del suo nuovo aspetto?

La pianura padana è sempre stata ricca di acqua, alimentata per millenni dalle piogge, dalla neve e dai ghiacci e “stoccata” nelle falde o distribuita in superficie dai fiumi. Oggi le precipitazioni scarseggiano e il volano dei ghiacciai non funziona più a dovere. La condizione dei nostri fiumi più grandi, ma anche, ovviamente, dei torrenti di montagna che convogliano l’acqua a valle è penosa. Le infrastrutture che hanno a che fare con l’acqua sono state pensate e create in epoche in cui la scarsità idrica nel nord del Paese non era nemmeno immaginabile. Dobbiamo fare i conti con questa nuova realtà ed attrezzarci per tempo e per quanto è possibile.

-Si parla molto di interventi volti a ridurre le perdite idriche, digitalizzare le reti, realizzare nuovi invasi, cosa ne pensa?

Se è vero, come dicono, che quasi la metà dell’acqua convogliata negli acquedotti e nelle altre vie dell’acqua viene persa, è evidente che si deve cominciare da lì. Certamente le moderne tecnologie possono aiutare; tuttavia occorre una strategia, direi una politica complessiva negli interventi, ma che abbia effetti positivi anche nel locale. Insomma una programmazione che purtroppo spesso al nostro paese manca o è insufficiente. Sugli invasi si sentono opinioni molto discordanti. Credo che sia difficile generalizzare. Probabilmente in alcuni luoghi hanno un senso, in altri meno. Certamente non li userei in montagna per l’innevamento artificiale delle piste!

-Altra riflessione riguarda il settore agricolo. L’agricoltura assorbe circa il 50% dell’acqua dolce prelevata dall’ambiente. Ciò porta a pensare che ogni azione di adattamento e mitigazione non può prescindere da un ripensamento sulle colture nel nostro territorio. Possiamo ancora permetterci varietà o colture ad elevato fabbisogno di acqua?

Esatto. Questa riflessione si ricollega alla domanda precedente. Ricordo, anni fa, l’esternazione di un collega alla Facoltà di Agraria di Milano che, accalorandosi, diceva: “Non vorremmo mica metterci a coltivare l’aloe o le banane in pianura padana!” Non ci siamo ancora ai frutti tropicali, ma forse una riconversione verso colture e metodi colturali meno idrovori ed energivori è ora necessaria.

-L’acqua è alla base per la sopravvivenza di ogni forma di vita. Una risorsa preziosa e scarsa. Non è solo l’Europa ad avere vissuto un anno particolarmente siccitoso. Una situazione simile si è verificata nei Paesi del nord Africa ed in Cina. Paesi come la Corea del Sud ed il Pakistan sono stati colpiti da alluvioni. Situazioni contrastanti ed opposte. Quale segnale rappresenta questo tipo di fenomeni così differenti?

Nessun paese è al riparo dai danni provocati dagli eccessi climatici. E questi, come si sa, determinano anche le crisi umanitarie, le migrazioni ed altri fenomeni che preferiremmo non vivere, per lo meno non in modo così drammatico. Che si voglia attribuire di più la responsabilità alle attività umane o alle variazioni naturali del clima del pianeta, poco importa. Quello che importa è ciò che sapremo fare da subito e nei decenni a venire per mitigarne gli effetti. E’ in gioco la sopravvivenza della nostra specie, per lo meno nei modi a cui siamo stati abituati da almeno un paio di secoli.

-Cosa possiamo fare per contrastare questo processo? Quale messaggio vuole dare ai nostri lettori?

Non essendo un tecnico del settore, ho difficoltà ad esprimere delle idee propositive sull’argomento. Intanto, ed è un tema che ho affrontato anche nel mio ultimo romanzo, una maggiore consapevolezza globale e individuale verso queste tematiche sarebbe auspicabile. Molti cambiamenti importanti nella storia dell’umanità sono partiti con spinte dal basso e quasi mai calati dall’alto. Paradossalmente le istituzioni che governano le società sono quasi sempre in ritardo e prendono provvedimenti (se li prendono!) ex post, anziché ex ante. Dunque l’azione del singolo è importante, ma poi le svolte socio-economiche e le nuove strategie di sviluppo devono venire a ruota e non possono che essere pilotate dall’alto. Qualcuno parla della necessità globale di una decrescita. A me non piace questa espressione. Parlerei piuttosto di crescita responsabile, in armonia con i contesti socio-ambientali-territoriali e pertanto sostenibile, anzi terapeutica. Non c’è dubbio che l’acqua sarà al centro di questi processi.

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Mar 31 2023

storia di una famiglia 31 03 2023

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STORIA DI UNA FAMIGLIA

Da Sussurrandom la vita e le vicende di un gruppo familiare, a cura di Stefano Mauri.

Francoforte 31 03 2023  flcozzaglio@gmail.com

—Il Verdicchio secondo la Cantina Tombolini, rappresentata in provincia di Cremona da Dennis Barbieri è un’emozione italiana che accende.

Allora, tra i fondatori delle DOC più importanti delle Marche: il Verdicchio dei Castelli di Jesi e il Rosso Conero, la storia delle fantastiche persone che raccontiamo è un mix di qualità e innovazione. Qualche esempio? I viticoltori protagonisti di quest’avventura meravigliosa, ecco sono stati tra i primi a valorizzare il terroir dei Castelli di Jesi, a usare l’iconica anfora (‘50), a vinificare in acciaio a temperatura controllata da uve Verdicchio in purezza (‘70). E oggi producono vino solo da vigneti di proprietà in armonia con l’ambiente, con cura artigianale e le tecniche più avanzate in cantina.

Sì… appassionatamente da 100 anni i Tombolini rappresentano la tradizione vitivinicola di un’intera regione: con un grande passato e lo sguardo saldamente rivolto al futuro.

Tutto ebbe inizio con Sante Tombolini, giovane fante salvatosi dalla peggior disfatta dell’esercito italiano nel 1917 a Caporetto, il quale, tornato ad Ancona dal fronte, incontra Nemorina Staffolani, proprietaria di alberghi per pellegrini a Loreto, la città più amata dalla famiglia italiana protagonista di questo leggendario, mistico scorcio … tipicamente italiano.
Sante e Nemorina si sposano e nel 1921 danno vita ad una florida attività di vendita di spezie e produzione di liquori e distillati poco distante dal porto.

Due decenni di crescita interrotti bruscamente dal bombardamento di Ancona del 1° novembre 1943. Quella notte, Sante affida i beni e le ricette di famiglia al figlio Giovanni, che le porta in salvo a Loreto, città della madre.

E fu proprio da quell’episodio che i Tombolini, notando il successo dei vini e degli spumanti dei vicini Castelli di Jesi, acquistarono i primi vigneti a San Paolo di Jesi, comprendendo appieno le potenzialità del vitigno autoctono principe della regione: sua maestà il Verdicchio. Gli innovativi, squarcianti agricoltori marchigiani iniziarono quindi a puntare sulla vinificazione in acciaio, importando competenze enologiche dal Piemonte, selezionando attentamente le uve in entrata. Ed è proprio grazie a lui che Tombolini adotta l’iconica anfora Verdicchio già nei primi anni ‘50.
E arriviamo, tra successi, studi, nuove sfide internazionali e continue scoperte, alla fine degli anni Novanta, con Fulvia, impegnata, appassionata, rapita sulle orme del padre Giovanni.
Ed è lei, la meravigliosa, ispirata Donna del vino marchigiana che rinnova la storica cantina, portando a 30 gli ettari di vigna, puntando tutto sulla qualità della materia prima prodotta dai terreni di famiglia, tutti convertiti alla sostenibilità e all’agricoltura biologica.

Concentrandosi su un solo Verdicchio, Fulvia lo veste con un abito da sera “all-black”, lo distribuisce con i marchi dell’eccellenza del vino italiano. Ed è così che riporta Tombolini a New York, Monaco e Tokio.

E … nel 2013 il richiamo della terra diventa irresistibile per suo figlio Carlo che lascia i suoi uffici in banca d’affari a Londra per Staffolo.

E insieme a lui, l’azienda ritorna al suo marchio originale, inizia a vinificare per singola vigna, sperimenta tecniche in cantina inedite per la DOC. È lui a ispirare la nuova anfora Tombolini nel centenario dalla fondazione, recuperando una tradizione di famiglia e con l’obiettivo di riaffermare il primato cui il Verdicchio dei Castelli di Jesi ha troppo presto abdicato.
Lo segue da vicino la sorella Giovanna, executive di uno dei principali gruppi del lusso al mondo.

Del Verdicchio nelle Marche si hanno attestazioni non solo in trattati di botanica come quello del marchigiano Costanzo Felici del 1569, ma già nell’Alto Medioevo in atti notarili di donazioni di proprietà di vigne a ordini religiosi della zona.

Un vitigno che solo nei Castelli di Jesi produce un vino che integra gli opposti, dissolve ossimori: immediato ma complesso, potente ma elegante, fresco ma anche longevo come nessun altro. Vellutato ma anche vibrante. Tombolini è Verdicchio.

E se i Castelli di Jesi sono il Verdicchio, il Verdicchio è l’anfora.
Grazie al suo iconico vestito verde il Verdicchio dei Castelli di Jesi è stato uno dei primi ambasciatori del vino italiano all’estero.

Tutti i principali produttori dell’epoca la adottarono per cavalcare quell’immediato successo, fino a farla assurgere a immagine distintiva del Verdicchio dei Castelli di Jesi. Nel 1972 Giovanni Tombolini incarico’ un noto designer, l’Architetto Luigi Massoni di Milano, di sviluppare l’anfora personalizzata per il primo Verdicchio dalla sua nuova cantina di Staffolo: l’anfora Castelfiora. Da questa storia ed un lungo lavoro di design è nata la nuova anfora Tombolini “100 anni”, nel secolo dalla fondazione e attraversando lo straordinario Giubileo Lauretano: il modo di rendere omaggio insieme alla tradizione di famiglia, ad un’icona del territorio e della storia enologica italiana. La premiata e premiante cantina Fulvia Tombolini e Figli, rappresentata in provincia di Cremona da Dennis Barbieri, in quel di Staffolo, in provincia di Ancona, col Verdicchio regala emozioni che accendono. Chapeau!

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Mar 31 2023

donne impresa 31 03 2023

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’invia alla c.a. Redazione. Cordialmente

Coldiretti Donne Impresa Cremona e Bags For Life

Le “borse per la vita” consegnate all’Ospedale Maggiore

“La nostra carezza alle donne ricoverate in Oncologia”

Un piccolo dono, che vuole essere una carezza – una testimonianza di vicinanza e incoraggiamento – rivolta alle donne che affrontano il difficile percorso dell’operazione e delle cure oncologiche. Con grande emozione la delegazione delle imprenditrici agricole di Coldiretti Donne Impresa Cremona, guidata dalla vicepresidente di Coldiretti Cremona Serena Antonioli e dal direttore Paola Bono, insieme a Claudia Telò, fondatrice dell’iniziativa “Bags For Life”, ha consegnato presso l’Ospedale Maggiore di Cremona le “borse per la vita”, cucite a mano o a macchina, necessarie a contenere i drenaggi post operatori, destinate alle pazienti del reparto oncologico, area donna. 

Ad accogliere il dono c’erano medici e infermieri del reparto di Oncologia Breast Unit e Chirurgia, con il dr. Gian Luca Baiocchi, primario di chirurgia generale, e il dr. Sergio Aguggini, dirigente medico della Breast Unit Cremona. E’ stato un incontro nel segno della condivisione, dell’attenzione – espressa da un gesto semplice, ma significativo, come cucire una borsa – verso donne che, a causa della malattia, vivono un momento di difficoltà. 

“Sono borse porta-drenaggio per le signore che sono ricoverate nell’area oncologica dell’ospedale. Vengono cucite da altre signore, che donano il loro tempo e la loro cura per creare questa coccola per le pazienti – ha sottolineato Claudia Telò -. Questa distribuzione sta avvenendo in tutta Italia. E’ partita ad agosto, da una semplice pagina di facebook, e si sta rafforzando di giorno in giorno. Stiamo creando una rete nazionale: con le nostre “borse per la vita” abbiamo praticamente invaso tutta Italia”. “E’ un gesto rivolto a chi vive un momento di sofferenza. Queste borse sono importanti per chi le riceve. Sono un segno di rinascita. Ti dicono che un’altra donna, che non conosci, ha lavorato per te e, seppur da lontano, ti sostiene e ti è vicina. E’ un’esperienza che ho vissuto e che per me ha avuto un significato prezioso. Ricordo quando ho ricevuto la mia borsa, ricordo che cosa ha significato la scoperta che, dietro questo oggetto semplice e realizzato con cura, ci fosse il cuore di un’altra donna che mi stava accanto” spiega Claudia Telo.

Dentro ogni borsa c’è un biglietto, preparato da Bags For Life, che riporta il nome della signora che ha cucito il piccolo dono. Nei mesi scorsi il progetto è stato presentato al coordinamento provinciale di Donne Impresa Coldiretti, dalla responsabile provinciale Maria Paglioli. Le imprenditrici agricole hanno subito accettato di dare una mano. Ognuna ha fatto un pezzettino: chi ha donato la stoffa, chi ha tagliato, chi ha cucito. C’è chi ha lavorato a mano e chi ha cucito a macchina, mettendoci grande cura.

“La consegna presso l’Ospedale Maggiore è avvenuta a nome di tutte le donne che hanno preso parte a questa iniziativa, piena di umanità e significato – spiega Paola Bono, direttore di Coldiretti Cremona -. Il nostro è un pensiero di solidarietà e di vicinanza alle donne che stanno affrontando un momento sicuramente difficile, e che stanno ponendo tutto il loro coraggio, il loro amore per la vita, nella lotta alla malattia. Vuole essere un incoraggiamento e un auspicio di guarigione. Siamo grate per questo incontro con “Bags for Life” e promettiamo a Claudia di restarle al fianco, anche nei passi futuri della sua iniziativa”.

Cremona, 31.03.2023 – C.s. 48/2023

RELAZIONI ESTERNE COLDIRETTI CREMONA

Via G. Verdi, 4 – 26100 Cremona – Telefono 0372 499819 – Cell. 334 6644736 – e-mail: marta.biondi@coldiretti.it – www.cremona.coldiretti.it – Fb e Instagram: Coldiretti Cremona

’invia alla c.a. Redazione. Cordialmente

Coldiretti Donne Impresa Cremona e Bags For Life

Le “borse per la vita” consegnate all’Ospedale Maggiore

“La nostra carezza alle donne ricoverate in Oncologia”

Un piccolo dono, che vuole essere una carezza – una testimonianza di vicinanza e incoraggiamento – rivolta alle donne che affrontano il difficile percorso dell’operazione e delle cure oncologiche. Con grande emozione la delegazione delle imprenditrici agricole di Coldiretti Donne Impresa Cremona, guidata dalla vicepresidente di Coldiretti Cremona Serena Antonioli e dal direttore Paola Bono, insieme a Claudia Telò, fondatrice dell’iniziativa “Bags For Life”, ha consegnato presso l’Ospedale Maggiore di Cremona le “borse per la vita”, cucite a mano o a macchina, necessarie a contenere i drenaggi post operatori, destinate alle pazienti del reparto oncologico, area donna. 

Ad accogliere il dono c’erano medici e infermieri del reparto di Oncologia Breast Unit e Chirurgia, con il dr. Gian Luca Baiocchi, primario di chirurgia generale, e il dr. Sergio Aguggini, dirigente medico della Breast Unit Cremona. E’ stato un incontro nel segno della condivisione, dell’attenzione – espressa da un gesto semplice, ma significativo, come cucire una borsa – verso donne che, a causa della malattia, vivono un momento di difficoltà. 

“Sono borse porta-drenaggio per le signore che sono ricoverate nell’area oncologica dell’ospedale. Vengono cucite da altre signore, che donano il loro tempo e la loro cura per creare questa coccola per le pazienti – ha sottolineato Claudia Telò -. Questa distribuzione sta avvenendo in tutta Italia. E’ partita ad agosto, da una semplice pagina di facebook, e si sta rafforzando di giorno in giorno. Stiamo creando una rete nazionale: con le nostre “borse per la vita” abbiamo praticamente invaso tutta Italia”. “E’ un gesto rivolto a chi vive un momento di sofferenza. Queste borse sono importanti per chi le riceve. Sono un segno di rinascita. Ti dicono che un’altra donna, che non conosci, ha lavorato per te e, seppur da lontano, ti sostiene e ti è vicina. E’ un’esperienza che ho vissuto e che per me ha avuto un significato prezioso. Ricordo quando ho ricevuto la mia borsa, ricordo che cosa ha significato la scoperta che, dietro questo oggetto semplice e realizzato con cura, ci fosse il cuore di un’altra donna che mi stava accanto” spiega Claudia Telo.

Dentro ogni borsa c’è un biglietto, preparato da Bags For Life, che riporta il nome della signora che ha cucito il piccolo dono. Nei mesi scorsi il progetto è stato presentato al coordinamento provinciale di Donne Impresa Coldiretti, dalla responsabile provinciale Maria Paglioli. Le imprenditrici agricole hanno subito accettato di dare una mano. Ognuna ha fatto un pezzettino: chi ha donato la stoffa, chi ha tagliato, chi ha cucito. C’è chi ha lavorato a mano e chi ha cucito a macchina, mettendoci grande cura.

“La consegna presso l’Ospedale Maggiore è avvenuta a nome di tutte le donne che hanno preso parte a questa iniziativa, piena di umanità e significato – spiega Paola Bono, direttore di Coldiretti Cremona -. Il nostro è un pensiero di solidarietà e di vicinanza alle donne che stanno affrontando un momento sicuramente difficile, e che stanno ponendo tutto il loro coraggio, il loro amore per la vita, nella lotta alla malattia. Vuole essere un incoraggiamento e un auspicio di guarigione. Siamo grate per questo incontro con “Bags for Life” e promettiamo a Claudia di restarle al fianco, anche nei passi futuri della sua iniziativa”.

Cremona, 31.03.2023 – C.s. 48/2023

RELAZIONI ESTERNE COLDIRETTI CREMONA

Via G. Verdi, 4 – 26100 Cremona – Telefono 0372 499819 – Cell. 334 6644736 – e-mail: marta.biondi@coldiretti.it – www.cremona.coldiretti.it – Fb e Instagram: Coldiretti Cremona

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Mar 31 2023

Guido Salvini 30 03 2023

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Gli anni di piombo e l’estradizione: li ricordo bene, non furono processi “speciali” 

Chiedere alla Francia l’estradizione dai latitanti era per lo Stato un diritto e forse un dovere politico, Chiamarlo atto di vendetta è puro, obsoleto linguaggio ideologico. Era un atto dovuto ma, alla luce dei precedenti, il rigetto dei giudici francesi era abbastanza scontato.

Le autorità francesi vedono quello che è successo in quegli anni in Italia ed in particolare nelle aule di giustizia molto da lontano, come attraverso un binocolo rovesciato. Dire ad esempio che l’estradizione avrebbe creato problemi familiari a coloro che sono latitanti, per scelta, anche da quarant’anni significa svilire completamente i ben più gravi, chiamiamoli con un eufemismo “problemi”, che hanno vissuto i familiari delle vittime. Quello che si legge in quelle sentenze è frutto di un atteggiamento davvero ipocrita e tartufesco, per usare un termine francese

Solo su questa base minima si può cominciare una discussione seria. Purtroppo, in questi giorni, come in passato, il dibattito si è fermato a livello politico- ideologico, è rimasto a livello del tutto astratto e nessuno ha avuto voglia di andare a vedere come quei processi siano stati celebrati

Vale la pena di rievocarli.

Delle 10 persone di cui si chiedeva l’estradizione 5 sono lombarde, giudicate a Milano. E conosco bene quei processi celebrati a Milano negli anni ‘80. Presiedevano i cd maxiprocessi nelle aule bunker delle Corti di assise magistrati assolutamente indipendenti e lontani da qualsiasi forma di rancore. Ricordo il presidente Antonino Cusumano e mi permetto di ricordare tra gli altri anche mio padre, il presidente Angelo Salvini. Io intanto iniziavo a lavorare come Giudice istruttore e quindi avevo un altro punto di osservazione privilegiato di quella stagione giudiziaria. Non è affatto vero che quelli fossero processi speciali, è una vera menzogna che tra l’altro offende i magistrati che hanno presieduto le Corti e tutti i loro colleghi che hanno giudicato sempre secondo coscienza. E con una certa dose di coraggio perché le misure di protezione erano minime.

Non vi è mai stato nessun atteggiamento di rancore anche se, ricordiamolo, appena prima di quei processi due magistrati milanesi conosciuti e stimati da tutti, Emilio Alessandrini e Guido Galli, erano stati vilmente assassinati colpiti alle spalle e contro altri magistrati inquirenti, ricordo fra tutti Armando Spataro, erano stati progettati attentati omicidiari che solo per un caso non erano andati a buon fine. 

Basterebbe leggere gli atti , ma ricordo bene anche le udienze cui ho assistito, per rendersi conto che anche a quegli imputati, come a tutti, erano garantiti pienamente il diritto di difesa e una corretta valutazione delle prove. Non erano processi di guerra. I difensori, sarebbe bello che qualcuno pubblicasse i verbali di qualcuna di quelle udienze, hanno sempre avuto in pienezza la facoltà di interrogare i testimoni, di contestare le prove a carico e di svolgere, anche in modo acceso, come è un diritto, le loro argomentazioni in contraddittorio. Tutti, anche quei difensori di “area” che erano molto vicini al mondo dei loro assistiti. E anche gli altri processi, quelli celebrati a Torino e a Roma ad esempio, si sono svolti nello stesso modo.

Le sentenze, migliaia e migliaia di pagine, hanno sempre spiegato in modo motivato e preciso perché si era pervenuti a condanne. Del resto la grande maggioranza degli imputati prima o poi, con la dissociazione, hanno confessato


Certo il clima soprattutto nei processi di primo grado era molto teso. In aula dalle gabbie spesso risuonavano slogan, non dico che il clima fosse idilliaco e che ad esempio da parte dei magistrati dell’accusa non vi siano state durezze.

Ma abbastanza presto era divenuto un po’ un gioco delle parti e già nei processi di appello lo scontro si era molto attenuato, man mano che la lotta armata andava esaurendosi con il fallimento dei suoi progetti.

Credo che gli imputati si fossero resi benissimo conto, anche senza ammetterlo, che dinanzi a loro non avevano dei nemici o dei servi di un imprecisato sistema ma magistrati che svolgevano il loro lavoro cercando di capire e rispettando i diritti degli imputati. Anche quando questi non dimentichiamolo, oggi nessuno lo dice, rifiutavano gli avvocati e la difesa. Il Presidente dell’Ordine degli avvocati di Torino Fulvio Croce che nel processo alle BR aveva assunto la difesa di ufficio perché per un avvocato quello era un dovere come per un medico curare un malato, fu per questo assassinato sotto casa.

Voglio ricordare poi che nel carcere di Bergamo a metà degli anni ’80, precisamente il 15 marzo 1986 vi fu un evento straordinario, era il carcere in cui era detenuta la maggior parte dei terroristi che si erano avviati, dopo una riflessione collettiva, sul percorso della dissociazione . C’erano ad esempio gli ex capi di Prima linea, tutti con molti omicidi alle spalle

Ebbene su questo tema si tenne un incontro comune tra magistrati e detenuti, presenti anche esponenti politici, il Direttore generale degli istituti di pena e e cappellani dei carcere, che si trovarono a discutere insieme non in un’aula bunker ma nella palestra del carcere di via Gleno, ove tra l’altro operavano un magistrato di sorveglianza come il dr. Zappa e un direttore molto sensibili all’importanza dei percorsi di recupero e di uscita dalla violenza

Ero presente, allora molto giovane fu, un momento anche emozionante perché per la prima volta non eravamo divisi dalle sbarre e di fatto da quel convegno uscì la legge sulla dissociazione del febbraio 1987 .

Le autorità francesi dovrebbero sforzarsi di capire di più e usare meno spocchia nei loro provvedimenti. Non so con precisione come si siano svolti i processi politici all’epoca in Francia ma ho l’impressione che fossero assai meno garantiti dei nostri.

In qualche modo “speciali” semmai in Italia all’epoca non erano i processi ma le pene che non dipendevano dalle Corti ma dalla volontà del legislatore perché l’art. 1 del Decreto-legge 625\1979, e cioè l’aggravante della finalità di terrorismo, le aveva notevolmente elevate.

Tuttavia gli anni irrogati si sono stemperati abbastanza rapidamente, sia grazie all’attenuante della dissociazione sia grazie ai benefici penitenziari come i permessi, il lavoro esterno e la semilibertà concessi da Magistrati di sorveglianza illuminati a coloro che di fatto non erano più pericolosi. Alla fine dopo aver scontato un numero di anni di carcere non molto elevato, addirittura in proporzione inferiore a quello che scontavano talvolta i detenuti comuni per reati analoghi, tutti sono usciti e ritornati alla vita civile. Basterebbe fare i conti. Gli ex-terroristi in carcere, ad oggi sono pochissimi, vi è rimasto solo chi l’ha voluto

Questa lettura politico- giudiziaria certo non esaurisce un problema che ciclicamente si ripresenta.

C’è un piano etico, umano e psicologico da non dimenticare e che può farci intravvedere, siamo nel campo della simulazione, altri scenari.

Proviamo ad immaginare che la Francia conceda l’estradizione, forse che qualcuno degli anziani latitanti anche la accetti, forse prima di morire vuole anche rivedere il suo paese. Scendono dalla scaletta dell’aereo tra due Carabinieri. Questo è il momento simbolico, che rappresenta una catarsi psicologica. La fuga è finita, la partita è persa, devono sottomettersi alle sentenze emesse in nome del popolo italiano. E’ il kairos, l’attimo speciale dei greci che cambia ogni cosa.

Poi sarebbero davanti al Magistrato di sorveglianza. Chi non lo ha mai fatto potrebbe confessare le proprie responsabilità, anche solo le proprie, per offrire alla fine una verità riparatoria alle famiglie delle vittime e alla storia. Sarebbe poi facile avere conferma che nessuna di queste persone è più pericolosa, che non potrebbe comunque tornare ad uccidere


A questo punto non ci sarebbe più nemmeno bisogno del carcere. Potrebbero uscire grazie a benefici, ragionando sempre per immagini, anche dopo solo un pezzetto di pena e tornare alla loro vita, alla famiglia, al lavoro, più probabilmente alla pensione.

Non credo nemmeno che tutti i parenti delle vittime, avuta soddisfazione sul piano di principio e simbolico, abbiano il desiderio e l’interesse a vedere persone di 70 anni finire i loro giorni in carcere.

Viene in mente, con le debite differenze, quella fotografia apparsa su molti giornali in cui, mentre in un paese mediorientale un condannato sta per essere impiccato, si avvicina la madre della vittima e gli dà uno schiaffo sul viso. Non per un gesto di disprezzo negli ultimi momenti di vita ma perché ciò simbolicamente significa che lo ha perdonato. E all’ultimo momento, infatti il condannato è stato graziato. 

Questa è stata una scena reale. Quella che abbiamo descritto forse è solo una simulazione letteraria.

Ma se accadesse questa storia immaginata allora la partita sarebbe veramente chiusa. E si potrebbe voltare davvero l’ultima pagina e chiudere il libro.

Guido Salvini, Magistrato

Gli anni di piombo e l’estradizione: li ricordo bene, non furono processi “speciali” 

Chiedere alla Francia l’estradizione dai latitanti era per lo Stato un diritto e forse un dovere politico, Chiamarlo atto di vendetta è puro, obsoleto linguaggio ideologico. Era un atto dovuto ma, alla luce dei precedenti, il rigetto dei giudici francesi era abbastanza scontato.

Le autorità francesi vedono quello che è successo in quegli anni in Italia ed in particolare nelle aule di giustizia molto da lontano, come attraverso un binocolo rovesciato. Dire ad esempio che l’estradizione avrebbe creato problemi familiari a coloro che sono latitanti, per scelta, anche da quarant’anni significa svilire completamente i ben più gravi, chiamiamoli con un eufemismo “problemi”, che hanno vissuto i familiari delle vittime. Quello che si legge in quelle sentenze è frutto di un atteggiamento davvero ipocrita e tartufesco, per usare un termine francese

Solo su questa base minima si può cominciare una discussione seria. Purtroppo, in questi giorni, come in passato, il dibattito si è fermato a livello politico- ideologico, è rimasto a livello del tutto astratto e nessuno ha avuto voglia di andare a vedere come quei processi siano stati celebrati

Vale la pena di rievocarli.

Delle 10 persone di cui si chiedeva l’estradizione 5 sono lombarde, giudicate a Milano. E conosco bene quei processi celebrati a Milano negli anni ‘80. Presiedevano i cd maxiprocessi nelle aule bunker delle Corti di assise magistrati assolutamente indipendenti e lontani da qualsiasi forma di rancore. Ricordo il presidente Antonino Cusumano e mi permetto di ricordare tra gli altri anche mio padre, il presidente Angelo Salvini. Io intanto iniziavo a lavorare come Giudice istruttore e quindi avevo un altro punto di osservazione privilegiato di quella stagione giudiziaria. Non è affatto vero che quelli fossero processi speciali, è una vera menzogna che tra l’altro offende i magistrati che hanno presieduto le Corti e tutti i loro colleghi che hanno giudicato sempre secondo coscienza. E con una certa dose di coraggio perché le misure di protezione erano minime.

Non vi è mai stato nessun atteggiamento di rancore anche se, ricordiamolo, appena prima di quei processi due magistrati milanesi conosciuti e stimati da tutti, Emilio Alessandrini e Guido Galli, erano stati vilmente assassinati colpiti alle spalle e contro altri magistrati inquirenti, ricordo fra tutti Armando Spataro, erano stati progettati attentati omicidiari che solo per un caso non erano andati a buon fine. 

Basterebbe leggere gli atti , ma ricordo bene anche le udienze cui ho assistito, per rendersi conto che anche a quegli imputati, come a tutti, erano garantiti pienamente il diritto di difesa e una corretta valutazione delle prove. Non erano processi di guerra. I difensori, sarebbe bello che qualcuno pubblicasse i verbali di qualcuna di quelle udienze, hanno sempre avuto in pienezza la facoltà di interrogare i testimoni, di contestare le prove a carico e di svolgere, anche in modo acceso, come è un diritto, le loro argomentazioni in contraddittorio. Tutti, anche quei difensori di “area” che erano molto vicini al mondo dei loro assistiti. E anche gli altri processi, quelli celebrati a Torino e a Roma ad esempio, si sono svolti nello stesso modo.

Le sentenze, migliaia e migliaia di pagine, hanno sempre spiegato in modo motivato e preciso perché si era pervenuti a condanne. Del resto la grande maggioranza degli imputati prima o poi, con la dissociazione, hanno confessato


Certo il clima soprattutto nei processi di primo grado era molto teso. In aula dalle gabbie spesso risuonavano slogan, non dico che il clima fosse idilliaco e che ad esempio da parte dei magistrati dell’accusa non vi siano state durezze.

Ma abbastanza presto era divenuto un po’ un gioco delle parti e già nei processi di appello lo scontro si era molto attenuato, man mano che la lotta armata andava esaurendosi con il fallimento dei suoi progetti.

Credo che gli imputati si fossero resi benissimo conto, anche senza ammetterlo, che dinanzi a loro non avevano dei nemici o dei servi di un imprecisato sistema ma magistrati che svolgevano il loro lavoro cercando di capire e rispettando i diritti degli imputati. Anche quando questi non dimentichiamolo, oggi nessuno lo dice, rifiutavano gli avvocati e la difesa. Il Presidente dell’Ordine degli avvocati di Torino Fulvio Croce che nel processo alle BR aveva assunto la difesa di ufficio perché per un avvocato quello era un dovere come per un medico curare un malato, fu per questo assassinato sotto casa.

Voglio ricordare poi che nel carcere di Bergamo a metà degli anni ’80, precisamente il 15 marzo 1986 vi fu un evento straordinario, era il carcere in cui era detenuta la maggior parte dei terroristi che si erano avviati, dopo una riflessione collettiva, sul percorso della dissociazione . C’erano ad esempio gli ex capi di Prima linea, tutti con molti omicidi alle spalle

Ebbene su questo tema si tenne un incontro comune tra magistrati e detenuti, presenti anche esponenti politici, il Direttore generale degli istituti di pena e e cappellani dei carcere, che si trovarono a discutere insieme non in un’aula bunker ma nella palestra del carcere di via Gleno, ove tra l’altro operavano un magistrato di sorveglianza come il dr. Zappa e un direttore molto sensibili all’importanza dei percorsi di recupero e di uscita dalla violenza

Ero presente, allora molto giovane fu, un momento anche emozionante perché per la prima volta non eravamo divisi dalle sbarre e di fatto da quel convegno uscì la legge sulla dissociazione del febbraio 1987 .

Le autorità francesi dovrebbero sforzarsi di capire di più e usare meno spocchia nei loro provvedimenti. Non so con precisione come si siano svolti i processi politici all’epoca in Francia ma ho l’impressione che fossero assai meno garantiti dei nostri.

In qualche modo “speciali” semmai in Italia all’epoca non erano i processi ma le pene che non dipendevano dalle Corti ma dalla volontà del legislatore perché l’art. 1 del Decreto-legge 625\1979, e cioè l’aggravante della finalità di terrorismo, le aveva notevolmente elevate.

Tuttavia gli anni irrogati si sono stemperati abbastanza rapidamente, sia grazie all’attenuante della dissociazione sia grazie ai benefici penitenziari come i permessi, il lavoro esterno e la semilibertà concessi da Magistrati di sorveglianza illuminati a coloro che di fatto non erano più pericolosi. Alla fine dopo aver scontato un numero di anni di carcere non molto elevato, addirittura in proporzione inferiore a quello che scontavano talvolta i detenuti comuni per reati analoghi, tutti sono usciti e ritornati alla vita civile. Basterebbe fare i conti. Gli ex-terroristi in carcere, ad oggi sono pochissimi, vi è rimasto solo chi l’ha voluto

Questa lettura politico- giudiziaria certo non esaurisce un problema che ciclicamente si ripresenta.

C’è un piano etico, umano e psicologico da non dimenticare e che può farci intravvedere, siamo nel campo della simulazione, altri scenari.

Proviamo ad immaginare che la Francia conceda l’estradizione, forse che qualcuno degli anziani latitanti anche la accetti, forse prima di morire vuole anche rivedere il suo paese. Scendono dalla scaletta dell’aereo tra due Carabinieri. Questo è il momento simbolico, che rappresenta una catarsi psicologica. La fuga è finita, la partita è persa, devono sottomettersi alle sentenze emesse in nome del popolo italiano. E’ il kairos, l’attimo speciale dei greci che cambia ogni cosa.

Poi sarebbero davanti al Magistrato di sorveglianza. Chi non lo ha mai fatto potrebbe confessare le proprie responsabilità, anche solo le proprie, per offrire alla fine una verità riparatoria alle famiglie delle vittime e alla storia. Sarebbe poi facile avere conferma che nessuna di queste persone è più pericolosa, che non potrebbe comunque tornare ad uccidere


A questo punto non ci sarebbe più nemmeno bisogno del carcere. Potrebbero uscire grazie a benefici, ragionando sempre per immagini, anche dopo solo un pezzetto di pena e tornare alla loro vita, alla famiglia, al lavoro, più probabilmente alla pensione.

Non credo nemmeno che tutti i parenti delle vittime, avuta soddisfazione sul piano di principio e simbolico, abbiano il desiderio e l’interesse a vedere persone di 70 anni finire i loro giorni in carcere.

Viene in mente, con le debite differenze, quella fotografia apparsa su molti giornali in cui, mentre in un paese mediorientale un condannato sta per essere impiccato, si avvicina la madre della vittima e gli dà uno schiaffo sul viso. Non per un gesto di disprezzo negli ultimi momenti di vita ma perché ciò simbolicamente significa che lo ha perdonato. E all’ultimo momento, infatti il condannato è stato graziato. 

Questa è stata una scena reale. Quella che abbiamo descritto forse è solo una simulazione letteraria.

Ma se accadesse questa storia immaginata allora la partita sarebbe veramente chiusa. E si potrebbe voltare davvero l’ultima pagina e chiudere il libro.

Guido Salvini, Magistrato

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Mar 30 2023

cremonesita’-cinquecentocinquantacinque 30 03 2023

Published by under Pubblica Amm.ne

CREMONESITA’ – cinquecentocinquantacinque

La Freccia della Versilia serve per andare al mare! Da www.cremonasera.it

Francoforte 30 03 2023  flcozzaglio@gmail.com

—Matteo Piloni (PD) e Marcello Ventura (Fd’I) uniscono le forze per la riattivazione della Freccia della Versilia.

Oggi i consiglierI regionali Matteo Piloni (PD) e Marcello Ventura (Fdi), ritornando su una questione rimasta in sospeso nella scorsa legislatura, hanno presentato una interrogazione alla giunta regionale lombarda e all’assessore ai Trasporti, per conoscere lo stato dell’arte sulla riattivazione del collegamento Bergamo-Pisa, la cosiddetta Freccia della Versilia, soprattutto per quanto riguarda la tratta da Cremona.
Una storia che nasce nel novembre del 2020, quando questo collegamento ferroviario operato in collaborazione tra Trenord e Trenitalia fu interrotto in via definitiva – ricapitolano Piloni e Ventura – nel marzo 2022 l’assessore ai Trasporti, rispondendo a una nostra interrogazione, ci aveva comunicato che ci sarebbe stata una iniziale riattivazione tra le stazioni di Bergamo e di Cremona prima della riattivazione dell’intera tratta che però non è mai avvenuta”.
Nell’ottobre del 2022 – rispondendo ad una interrogazione in aula di Piloni – la giunta aveva assicurato l’intenzione di collaborare con la società dei trasporti dell’Emilia-Romagna, la Tper, per cercare di riattivare la tratta almeno nei mesi estivi, mettendo così una pezza a una grave penalizzazione subita dai nostri territori”.
Ebbene, con l’inizio della stagione primaverile, vorremmo dunque capire quale sia l’esito di queste interlocuzioni -concludono i consiglieri– e se possiamo augurarci di rivedere la Freccia della Versilia”.

CREMONESITA’ – cinquecentocinquantacinque

La Freccia della Versilia serve per andare al mare! Da www.cremonasera.it

Francoforte 30 03 2023  flcozzaglio@gmail.com

—Matteo Piloni (PD) e Marcello Ventura (Fd’I) uniscono le forze per la riattivazione della Freccia della Versilia.

Oggi i consiglierI regionali Matteo Piloni (PD) e Marcello Ventura (Fdi), ritornando su una questione rimasta in sospeso nella scorsa legislatura, hanno presentato una interrogazione alla giunta regionale lombarda e all’assessore ai Trasporti, per conoscere lo stato dell’arte sulla riattivazione del collegamento Bergamo-Pisa, la cosiddetta Freccia della Versilia, soprattutto per quanto riguarda la tratta da Cremona.
Una storia che nasce nel novembre del 2020, quando questo collegamento ferroviario operato in collaborazione tra Trenord e Trenitalia fu interrotto in via definitiva – ricapitolano Piloni e Ventura – nel marzo 2022 l’assessore ai Trasporti, rispondendo a una nostra interrogazione, ci aveva comunicato che ci sarebbe stata una iniziale riattivazione tra le stazioni di Bergamo e di Cremona prima della riattivazione dell’intera tratta che però non è mai avvenuta”.
Nell’ottobre del 2022 – rispondendo ad una interrogazione in aula di Piloni – la giunta aveva assicurato l’intenzione di collaborare con la società dei trasporti dell’Emilia-Romagna, la Tper, per cercare di riattivare la tratta almeno nei mesi estivi, mettendo così una pezza a una grave penalizzazione subita dai nostri territori”.
Ebbene, con l’inizio della stagione primaverile, vorremmo dunque capire quale sia l’esito di queste interlocuzioni -concludono i consiglieri– e se possiamo augurarci di rivedere la Freccia della Versilia”.

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Mar 30 2023

maurizio 30 03 2023

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MAURIZIO

Iori, come sempre….

Francoforte 30 03 2023  flcozzaglio@gmail.com

—Tranne come Iori sarebbe riuscito, a uccidere; e dove serve, entra in gioco lo spirito della creazione: gli Ornesi dicono sempre la verità, e non si vede la loro evidente “retromarcia” sul secondo matrimonio di Iori, di cui sapevano nulla nel 2011, tutto nel 2012, al tempo del primo processo; non avevano gli originali delle chiavi poi, dimostrato il contrario, non ricordavano bene, un errore di sbaglio, per dirla in gergo; la perizia della Difesa sottolinea che Claudia Ornesi usava il Valium, per conservare l’immagine di una che usava solo prodotti naturali ricordano ch’era stato Iori a propinarlo di nascosto; parole e conclusioni che sarebbero da presentare a un pubblico ben più numeroso delle Aule dei Tribunali; e tutto questo spinge a chiederci perché giudici normali, come nel nostro caso, non giudici da copertina che di punto in bianco ritroviamo in politica, siano arrivati a conclusioni che ben pochi italiani, in cui nome si pronunciano le sentenze, accetterebbero; e quanti Iori oltre al nostro siano in carcere; ma non solo, perché giudici che nel resto della loro vita, in qualsiasi tipo di relazione, mai e poi mai ragionerebbero così, in Aula e in Camera di consiglio invece lo fanno; e questa mia certezza non aiuta a trovare una risposta.

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