TUTTO CAMBIA
Noi cremonesi abbiamo da
tempo scelto la via esatta: il risparmio energetico, spiega Antonio
Grassi in www.cremonasera.it: perchè agitarsi se le cose non
cambiano, ci pensino gli altri!
Francoforte 29 08 2021
www.flaminiocozzaglio.info flcozzaglio@gmail.com
—Territorio
in affanno: se non governiamo il cambiamento, ci penseranno altri
«Se
vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi»,
spiega Tancredi allo zio, principe di Salina, nel Gattopardo. Il
concetto, avvalorato dalla storia, nella nostra provincia non
funziona.
Il
brivido, di un cambiamento foss’anche effimero, non ci attira.
Uscire dalla strada maestra, percorrere un sentiero sconosciuto e poi
ritornare sulla retta via non appartiene al nostro territorio.
Preferiamo la certezza di un presente insignificante e precario, alla
scommessa su un futuro migliore ma incerto.
Siamo
una provincia statica, ferma, un blocco di cemento. Siamo tre
monoliti, appoggiati uno all’altro, che non si dannano l’anima
per aiutarsi a vicenda.
Cremonese,
Cremasco, Casalasco, schiavi della tradizione e dei pregiudizi,
preferiscono la quarantena perpetua alla coalizione.
I
generali non puntano alla vittoria. Confidano nella non sconfitta.
Sostengono il pareggio. Galleggiano nel limbo dell’ignavia.
Dell’inedia. Del tirare sera. Confidano nella provvidenza, che non
sempre ha lo sguardo rivolto ai violini, al tortello dolce, al museo
del bijou.
Siamo
miopi, poco inclusivi, molto divisivi. Siamo perdenti. Siamo terra di
conquista. Siamo speciali. Siamo autolesionisti, pronti a tagliarci
gli ammennicoli per fare un dispetto al confinante.
Preferiamo
essere allineati e coperti nella nostra pozzanghera, piuttosto che
navigare liberi e sognatori, fuori dal coro, in mare aperto. La calma
piatta e la monotonia di una linea orizzontale ci tranquillizzano. Se
una foglia si muove è un errore. Oppure un miraggio.
Siamo
la patria del vivi e lascia vivere. Della pace, con Dio e con
gli uomini, soprattutto con quest’ultimi. Non rompere i
coglioni a chicchessia, anche quando sarebbe auspicabile, è titolo
di merito.
Difficilmente
identifichiamo il luogo migliore dove collocarci. Spesso ci troviamo
nel posto sbagliato al momento sbagliato.
«Se
devo andare dove piove merda, voglio sapere da che parte soffia il
vento»
fa sapere Robert
Redford in Spy
game.
A noi frega poco la direzione del vento e il tipo di pioggia. Andiamo
dove ci porta il caso. Apriamo l’ombrello quando siamo già
fradici. Chiudiamo la stalla quando i buoi sono già scappati.
Invece di prevenire gli eventi, li rincorriamo.
Campioni
d’efficienza omeostatica, possediamo una capacità di adattamento
straordinaria. In Lombardia contiamo poco più di niente, ma
va tutto bene madama la marchesa.
Maggioranza
e opposizione prediligono accordi win win allo scontro.
Una
buona parte dei conflitti territoriali, sollevati da partiti e
politici ed enfatizzati dai media locali, sono di facciata. Non
farlocchi, ma in alcune occasioni accomodanti e molte volte
finalizzati ad accontentare i tifosi della curva. Ma è vietato
dirlo.
Favoriti
dall’affievolirsi dell’ideologia e dalla citatissima società
liquida, le intese sono guidate dall’imprescindibile bisogno degli
attori di portare a casa ogni giorno michetta e companatico.
Primum
vivere, deinde philosophari. Stregoni
veri e presunti e apprendisti stregoni di casa nostra non sfuggono
alla regola e il colore dello schieramento è ininfluente.
Anche i politici tengono famiglia. Prima la pagnotta, poi il
bene comune. È comprensibile.
La
lotta dura senza paura non ha mai incontrato un notevole consenso in
questa terra. Le rare volte che è accaduto, si è trattato di
episodi senza seguito, alcuni dei quali con protagonisti venuti da
fuori.
I
rivoluzionari autoctoni che scendevano in piazza per
scimmiottare i coetanei di Parigi, Milano e Roma, che
scrivevano sui muri, che gridavano in piazza «Non
è che l’inizio,
continuiamo a combattere»
sono quasi tutti pensionati. Le armi le avevano già deposte da
tempo, barattate con posti di prestigio e di potere in enti e aziende
pubbliche e private. Qualcuno, non ha perso l’abitudine al
comando e, nell’ombra, continua a dirigere il traffico nel partito
di appartenenza.
Gli
ex contestatori rimasti al fronte, complice l’età, hanno
dimenticato la promessa-minaccia di lottare senza tregua.
I
loro allievi sono entrati direttamente nelle stanze dei bottoni senza
passare per la trafila dei volantinaggi, dei cortei e delle
manifestazioni. Degli estenuanti dibattiti. Si dannano l’anima per
la propria carriera. Poco per la nostra provincia.
Il
pane e le rose non fanno parte del background dei politici rampanti e
le conseguenze sono evidenti. Un esempio paradigmatico dei danni
provocati dall’assenza di apprendistato è stata la gestione
dell’elezione del presidente della provincia. Un disastro da
inserire nei manuali di formazione politica tra i comportamenti da
evitare.
Degli
ex bastian contrari è rimasto qualche irriducibile. Un manipolo di
ultimi mohicani. Disincantati, sprezzanti e orgogliosi, hanno
smesso di credere nella rivoluzione e mantenuto l’abitudine di
mandare a quel paese tutti quelli in disaccordo con il loro pensiero.
Troppo pochi per cambiare e troppo poco un vaffanculo per modificare
lo stato delle cose.
Siamo
specialisti nell’ammuina e nell’alzare polveroni, trucchetto
vecchio come il cucco per dimostrare la propria esistenza e per
distogliere i cittadini dai problemi reali.
Nei
giorni passati si è discusso sull’opportunità o meno di
intitolare l’ospedale di Crema a Gino
Strada.
La questione merita la grande attenzione che le è stata dedicata, ma
altrettanto impegno dovrebbe essere profuso per risolvere i problemi
che affliggono il territorio. Possibilmente per cambiarlo.
Molte
le questioni aperte. Poche le proposte di soluzione chiare e
percorribili. Nessuno nega che di questi problemi se ne
discuta, ma non si coglie una strategia, una linea operativa, una
chiamata alla mobilitazione per eliminarli. Parole, parole, parole.
Mina trionfa. Il territorio soffre.
Si
procede a vista, a corrente alternata, con interventi spot. Per
quattro giorni tiene banco la sanità, per cinque la sostenibilità
ambientale. Poi irrompono le infrastrutture e intanto il Masterplan 3
C è scomparso dai radar. I sindaci arrancano, ma chissenefrega.
Si
gioca a mosca cieca e si confida d’imbroccare la scelta vincente.
L’Area
omogena Cremasca è un ectoplasma, la Provincia poco più di un
fantasma. La Regione tiene il banco delle tre carte e sorge il
cattivo pensiero che qualche ente e alcuni territori limitrofi ci
bullizzino. Siamo un vaso di terracotta in mezzo ai vasi di ferro.
Se
non governiamo il nostro cambiamento, ci penseranno gli altri.
Non ci faranno sconti. Saremo nudi e senza alibi. La colpa sarà solo
nostra.
Nel
1964, Bob Dylan annunciava The
Times They Are A-Changin.
Siamo in ritardo di cinquantasette anni. E ci manca un Tancredi.
Meditiamo. E poi agiamo. In fretta.