Apr 26 2020
la legge del più forte-millecinquecentosettantasette 26 04 2020
LA LEGGE DEL PIU’ FORTE – millecinquecentosettantasette
Da www.errorigiudiziari.com; se un medico sommerso da coronavirus si permettesse la leggerezza di curare un malato con la foto del vicino di letto, apriti cielo, eppure succede di frequente nei Palazzi di Giustizia!
—Otto mesi di ingiusta detenzione accusata di un reato mai commesso. Lei, incensurata, sarebbe stata l’autrice di tre rapine in farmacia. Ma non era vero niente, era solo un errore giudiziario. Prima di poterlo definire tale, però, è stato necessario aspettare cinque anni, il tempo di consentire al pubblico ministero e ai giudici di rendersene conto. E di far sì che lo Stato riparasse l’ingiusta detenzione con un indennizzo. Intanto, però, la sua vita è rimasta segnata per sempre. È la storia di E.F., 39 anni, originaria di Roma, un lavoro come commessa. I carabinieri l’arrestano all’alba di un giorno di fine estate, il 25 agosto 2014, mentre è in casa con la madre disabile. È uno shock per lei, che cade dalle nuvole, è un dramma per la mamma. Eppure non è ancora nulla rispetto a quello che sta per accadere: «La donna viene condotta nella sezione femminile del carcere di Rebibbia, mentre ancora non si riesce a capacitare di quanto ha letto sull’ordinanza di custodia cautelare che le è stato notificata al momento dell’arresto: secondo l’accusa, sarebbe stata lei a portare a termine tre rapine in farmacia, armata di taglierino», racconta oggi l’avvocato Riccardo Radi, difensore della commessa. A inchiodarla ci sarebbero due elementi, entrambi abbastanza frequenti nella casistica degli errori giudiziari del nostro Paese: «Anzitutto la testimonianza di un carabiniere, che è convinto di avere riconosciuto proprio lei dalle immagini delle telecamere di videosorveglianza di una delle farmacie rapinate. In passato, infatti, la donna aveva accompagnato spesso in caserma il fratello sottoposto all’obbligo di firma», spiega Radi. «In secondo luogo, la testimonianza delle farmaciste, ben sette, che avevano subìto i colpi: sono certe di riconoscere il volto di E.F. nel fotogramma estrapolato dal video». In cella a Rebibbia la commessa passerà 202 giorni. E subito dopo, altri 40 agli arresti domiciliari. Intanto, si celebra il processo: «Mi accorgo che nella descrizione della rapinatrice fatta prima del riconoscimento fotografico da parte delle farmaciste, queste avevano raccontato di aver descritto una donna mora, robusta, con delle verruche bianche che ricoprivano le mani della malvivente. Ma esaminando la cartella clinica di E.F. al momento del suo ingresso in carcere, venti giorni dopo l’ultimo dei colpi a lei addebitati, mi rendo conto che la donna non aveva verruche, bolle o altre cicatrici sulle mani». È la svolta. Durante il dibattimento, questo elemento avrà un peso fondamentale per scagionare E.F., ma non sarà l’unico: «Vedendola dal vivo in aula, le farmaciste manifestano forti perplessità sul fatto che la donna possa essere davvero quella che le ha rapinate», aggiunge l’avvocato Radi. E così, a due anni di distanza dal giorno dell’arresto, il Tribunale di Roma assolve E.F. per non aver commesso il fatto. Divenuta irrevocabile la sentenza, nel mese di aprile 2018 la difesa della commessa presenta istanza di riparazione per ingiusta detenzione per i 242 giorni trascorsi da innocente agli arresti, tra carcere e domiciliari. E l’11 maggio 2019, la Corte d’Appello di Roma accoglie la domanda, disponendo nei confronti di E.F. (che nel frattempo ha perso il lavoro), un indennizzo pari a 22 mila euro.
Francoforte 26 04 2020 www.flaminiocozzaglio.info flcozzaglio@gmail.com