BUON APPETITO
Prosegue la corsa della
nuova rubrica di www.cremonasera.it “L’appetito vien mangiando”,
zeppa di curiosità su tanti cibi storici.
Francoforte 27 09 2021
www.flaminiocozzaglio.info flcozzaglio@gmail.com
—La
forma di Dio, la storia del grana. La vera sbrisulùusa è cremonese
non mantovana, le lasagne di zucca
LA
STORIA: ECCO COM’E’ NATO IL FORMAGGIO GRANA
Il
nostro buon cibo, le colture e il vino hanno avuto un cantore in
Carlo
Bertolini,
cremonese, amico carissimo che il Covid ha portato via a tutti noi e
alla sua famiglia. Da ricercatore di alto profilo, Bertolini aveva
svolto studi in tutti i campi. Tra le altre cose aveva svolto
ricerche negli archivi dei monaci benedettini e del loro grande
lavoro di bonifica realizzato nelle nostre
terre
per creare prati stabili. Ovviamente la diffusione dei prati stabili
e la grande ripresa agricola comportò anche un incremento
dell’allevamento dei bovini da latte. La necessità di poter
conservare grandi quantità di latte prodotto, portò come naturale
conseguenza alla fabbricazione di grosse forme di formaggio a pasta
dura, servevoli nel tempo.
Tra
i vantaggi dei formaggi stagionati, si ricorda quello di essere un
ottimo mezzo di conservazione dei principi nutritivi del latte. Il
disporre poi di forme a lenta maturazione ne garantiva la
conservabilità nel tempo e la possibilità di essere trasportato e
commercializzato anche a lunghe distanze. Dunque il formaggio grana,
così chiamato per la struttura granulosa della sua pasta, nacque e
si diffuse in Padania a seguito delle bonifiche e del nuovo sistema
di irrigazione apportato ai terreni da monaci cistercensi e
benedettini.
Non
si sa dove sia nato il formaggio grana, anche se numerosi sono i
tentativi di risolvere il problema della conservazione del latte.
Comunque è probabile sia nato nell’Abbazia benedettina di S.
Maria di Marola,
in località Carmiano
di Bibbiano (Reggio Emilia).
Quest’Abbazia aveva nell’antichità funzione di “college”
agricolo.
Si
narra che nell’anno 1145, l’abate Giovanni Da Carmiano dell’Abbazia
di Marola, assieme ad operosi ed ingegnosi allevatori di vacche rosse
ed ai contadini di Bibbiano (l’Abbazia era oltre che centro
religioso, anche casa, scuola, officina, stalla e sede gestionale dei
beni locali), abbiano a lungo sperimentato e poi inventato il
progenitore del formaggio grana. Il metodo si diffuse in un baleno in
tutte le Abbazie della Valle Padana in cui si produceva latte.
La
formula da quasi mille anni è sempre la stessa: latte (quello
della mungitura della sera, scremato per affioramento durante la
notte, unito a quello del mattino), caglio, fuoco (due
cotte:
una utilizzando legno di olmo e l’altra i sarmenti di vite)
e sale (per
la zona specifica proveniente dalle miniere di Tabiano e
Salsomaggiore, per altre zone proveniente sul Po da Chioggia).
Dopo
una lunga stagionatura, ben oltre l’anno, nell’aprire la forma,
l’abate Giovanni capì dai profumi e dall’assaggio, di trovarsi
difronte a un grande evento, ed infatti la “battezzò” con il
nome di FORMADIO,
cioè forma
di Dio.
Questo nome lo troviamo quasi subito in un documento, ora conservato
presso l’Archivio di Stato di Modena, rogato dal notaio Frigerio.
1159
Aprile13, S.Maria di Marola
“Nel
nome di Cristo, nell’anno dell’incarnazione del Signor Nostro Gesù
Cristo, millecentocinquantanove, giorno 13 del mese di aprile
entrante. Indizione settima. Giovanni, venerabile abate del Monastero
di Santa Maria di Marola…
…concede
in affitto per 29 anni, per soldi d’argento tre e mezzo,
lucchesi…tres aportos de formadio (=tre
consegne di formaggio grana) pecore e giuncate (formaggio fresco
fatto con latte ovicaprino) ad arbitrium….” alcune terre in
Campitello, ai fratelli Giovanni, Martino e Domenico di Formolaria
(oggi Carpineti nell’Appennino reggiano)”.
La
pergamena di Marola, reca la citazione più antica in cui compare la
parola Formadio,
e segna un cambiamento epocale nella produzione del formaggio,
passando da quello fatto con latte di pecore e capre, a quello
fabbricato con solo latte vaccino.
Carlo
Bertolini
LA
VERA SBRISULUUSA E’ CREMONESE NON MANTOVANA
Sbrisulùusa:
torta friabile (che la se sbrisùla e cioè che si sbriciola)
Nata
intorno al XVI secolo nelle campagne della valle del Po, più
precisamente nel Cremonese, la torta veniva preparata con la sola
farina di mais, miele e strutto. Simbolo della città lombarda,
alcuni sostengono – con altri ingredienti – fosse stata servita per
tragica metafora (da sbriciolare, sbrizzare, sminuzzare, stritolare)
al castello di Maccastorna la drammatica notte del 24 luglio 1406, in
cui Cabrino Fondulo fece trucidare il nemico Cavalcabò.
La
torta è un’antica tradizione di Cremona, si presenta con un colore
dorato dovuto alla presenza nell’impasto di farina di mais e
mandorle. Insieme alle frittelle e i biligòt,
la sbrisulùusa è
il dolce tipico della festa di Sant’Antonio abate il 17 gennaio.
La
preparazione è semplice: si impastano 2 parti di farina 00, 2 di
farina gialla, una di zucchero, una di burro o meglio di strutto
(alcuni legano con un uovo). La cottura può farsi a 200° per
mezz’ora o 160° per un’ora.
La
maggior parte dei cremonesi preferisce una torta friabile come la
sorella mantovana che contiene mandorle e lievito. La sbrisolona
mantovana, immeritatamente ha sostituito la vera sbrisulùusa
cremonese nei frettolosi ricettari moderni e nelle preparazioni
industriali in vendita al dettaglio.
Giorgio
Maggi
LA
RICETTA: LE LASAGNE DI ZUCCA DELL’IMPERATORE
E’
tornata la zucca, la cucurbitacea di origini americane che proprio
qui da noi, tra Cremona e Mantova e in tutta l’asta del Po ha avuto
la sua esaltazione. E proprio vicino a noi, a Villastrada
di Mantova a
due passi da Viadana, c’è il locale del cantore della zucca: Arneo
Nizzoli,
l’imperatore della zucca, esaltato da Cesare Zavattini suo amico e
mentore. Il suo locale propone spesso periodi di pranzi e cene a
tema: la zucca in festa (dal 1 al 31 ottobre), le grandi maialate
(gennaio-marzo), la nostra amica lumaca (dal 1 al 31 maggio) ed altro
ancora.
Il
piatto di questa settimana è suggerito dall’Imperatore della zucca
Nizzoli è ed: Lasagne
di zucca
Lessare
1 kg. di zucca in acqua salata. Nel frattempo mettere sul fuoco un
tegame con: una noce di burro, un cucchiaio di olio d’oliva e una
cipolla media tritata, quindi soffriggere, aggiungere un bicchiere di
vino bianco dolce, noce moscata a piacere, sale e pepe q.b.
Scolare
la zucca tenendo l’acqua di cottura, eliminare la buccia e
aggiungerla nel tegame, stemperarla bene con una frusta per evitare
che si formino dei grumi, se occorresse aggiungete un po’ d’acqua di
cottura della zucca, il composto deve risultare denso ma all’onda.
Procedete
poi nella preparazione come per le lasagne: alternando alla pasta il
composto di zucca e parmigiano grattugiato (preferibilmente Grana
Padano) con la besciamella, terminare con la zucca e aggiungere
qualche fiocchetto di burro e gratinare in forno caldo.
Andrea
Fontana,
responsabile lombardo di Slow Wine e che su Cremonasera tiene
settimanalmente la rubrica (da
Cremona alla scoperta del vino)
propone di abbinare alle lasagne di zucca.
- Lambrusco
Mantovano DOC:
il connubio tra i prodotti del territorio non sbaglia mai. Il
Lambrusco Mantovano ha florealità e tannino esuberante che, assieme
alla carbonica, puliscono e ben si sposano con la zucca.
- Colli
Piacentini DOC Malvasia di Candia Aromatica:
per chi ama i vini bianchi, la nota fruttata ma allo stesso tempo
sapida e speziata della Malvasia di Candia Aromatica ben supporta la
la dolcezza della zucca. Scegliete una versione ferma anche con
qualche anno sulle spalle.
- Dolcetto
d’Alba:
se si preferiscono i rossi fermi, giusto prediligere vini freschi,
fruttati con sufficiente spinta acida. Il Dolcetto d’Alba è una
scelta ottimale.
Nella
foto un quadro di Vincenzo Campi. E’ una fruttivendola (un soggetto
da lui dipinto più volte) di una collezione privata anche se il più
noto è quello della Pinacoteca di Brera. E’ una fruttivendola di
stagione. In primo piano la zucca di cui diamo una ricetta da
provare: le lasagne di zucca