LA
LEGGE DEL PIU’ FORTE – MILLETRECENTONOVANTOTTO
Il
giudice italiano tipo ha sempre ragione; qui è Giancarlo Caselli sul
Fatto Quotidiano, con mie liberissime note, la principale: Caselli
Giancarlo è il primo a non voler rispettare lo spirito e la lettera
della Costituzione più bella del mondo!
—L’ergastolo
“ostativo”,
anche quando applicato ai mafiosi, non piace. In Europa come in
Italia. Dopo la Cedu
(Corte europea dei diritti dell’uomo), tocca infatti alla nostra
Consulta. Ora, se nel caso della prima si poteva pensare che i
giudici sapessero poco o nulla della realtà della mafia, la stessa
cosa non può dirsi a cuor leggero quando si tratta di giudici
italiani, che la storia della mafia e delle sue atroci efferatezze
dovrebbero appunto conoscerla. Tant’è che la Cedu ha deciso
praticamente all’unanimità con
un solo dissenziente;
mentre nella Consulta (Giovanni
Bianconi
sul Corriere
della sera
del 24 ottobre) ad imporsi sarebbe stata una risicata maggioranza di
otto contro sette—
Caselli
Giancarlo, ex Procuratore di fama, sa cosa gli altri sanno in
generale, e certamente che a Strasburgo conoscono poco della mafia.
—Cedu
e Consulta si differenziano perché la prima ha cancellato
l’ostatività dell’ergastolo per
i mafiosi
rispetto a qualunque beneficio, mentre la seconda ha sentenziato solo
con riferimento ai permessi
premio.
Nella sostanza peraltro valgono in un caso come nell’altro le
stesse considerazioni—
E
questa è la conferma!
—Poiché
la pena deve tendere alla rieducazione del condannato
(art.27 Cost.), ne discende che in linea di principio anche
l’ergastolo può essere temperato concedendo alcuni benefici. Ma
ciò ha un senso solo quando si tratta di condannati che mostrano di
volersi reinserire o almeno fanno sperare che prima o poi ci
proveranno. Non è assolutamente il caso dei mafiosi “irriducibili”,
che cioè non si sono pentiti. I mafiosi, infatti, giurano fedeltà
perpetua all’associazione; e chi non si pente conserva lo status di
“uomo
d’onore”
fino alla morte. Questa “identità mafiosa” è ontologicamente
incompatibile
con ogni prospettiva di recupero,
salvo che il mafioso – pentendosi – dimostri concretamente di
voler disertare dall’organizzazione criminale, cessando di esserne
strutturalmente parte. Incompatibile per il “semplice” fatto che
il mafioso non pentito continua ad essere convinto di appartenere ad
una
“razza” speciale,
nella quale rientrano soltanto coloro che sono davvero uomini
(“d’onore”). Tutti gli altri, quelli del mondo esterno, non
sono uomini ma individui da assoggettare, non persone ma oggetti,
esseri
disumanizzati—
Inutile
contestare un’affermazione di principio alla “è così perché lo
dico io”, ricordo a Caselli, per esempio, che la maggior parte dei
terroristi Brigate rosse e simili son fuori da un pezzo, e non
risulta alcun rinsavimento per la maggior parte di essi, apparizioni
in Tv a parte….
—Chi
ricorda questi dati viene allegramente tacciato di esser
giustizialista, manettaro, forcaiolo e fascista. Insulti a parte, non
si tratta di indulgere a logiche vendicative ispirate al
“cattivismo”. Sono riflessioni basate sulla facile previsione che
i permessi premio apriranno anche ai mafiosi “irriducibili” spazi
di libertà dei quali molti finirebbero per approfittare, rientrando
in un modo o nell’altro nel mondo delle attività criminali mafiose
(droga, pizzo, gioco d’azzardo…). Una falla nell’antimafia. Un
lusso che non ci possiamo permettere.
Si
obietta che gli ergastolani per delitti di mafia non sarebbero liberi
di scegliere di collaborare perché metterebbero in pericolo
l’incolumità propria e dei loro familiari. Ma l’obiezione urta
contro la constatazione che ormai da anni lo Stato italiano ha
dimostrato coi fatti di essere in grado di proteggere
migliaia di pentiti con le relative famiglie. Altra obiezione è che
la Consulta non stabilisce alcun automatismo, perché dovrà pur
sempre esserci un giudice a decidere
caso per caso.
E’ vero, ma senza “pentimento” al giudice mancheranno segni
esteriori, concreti e significativi, della possibilità di un
effettivo distacco dal clan
con conseguenti prospettive di recupero. Soltanto
Alice nel paese delle meraviglie potrebbe fidarsi del mafioso che
rivendica come titolo valutativo quello di essere stato un detenuto
modello, perché il rispetto formale dei regolamenti carcerari non
equivale a un inizio di resipiscenza: è infatti una regola del
“codice mafioso” da osservare scrupolosamente. Sicché le
decisioni del magistrato di sorveglianza finiranno per essere una
sorta di scommessa o di azzardo surreale, con fortissimi rischi di
sovraesposizione personale—
Il
cosiddetto errore giudiziario va bene nei processi normali, alla
Tortora per intenderci, ma quando si tratti di giudicare un già
mafioso non è mai ammesso!
—Va
poi osservato che ci sono anche
le vittime dei delitti di mafia
(familiari ovviamente compresi), i cui diritti non sono da meno di
quelli dei mafiosi detenuti. Che in ogni caso vanno sempre bilanciati
con le esigenze di tutela della collettività, messe gravemente a
rischio proprio dal crimine organizzato di stampo mafioso—
Occhio
per occhio dente per dente, sembra invocare il Caselli.
—Infine,
la Costituzione per i mafiosi equivale – come dire – ad un
paio di ciabatte
da usare solo quando servono. Essa invece è un insieme di valori
fondamentali che vanno accettati e rispettati. Tutti e sempre, non
solo un frammento e non solo quando fa comodo. Per contro, della
Costituzione i mafiosi non accettano neanche mezza virgola. Non
dimentichiamolo—
E
non dimentichiamo nemmeno che la legge va interpretata per tutti.
Francoforte
27 10 2019 www.flaminiocozzaglio.info
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