LA LEGGE DEL PIU’
FORTE – MILLECENTOSESSANTADUE
La ricostruzione doc di
Repubblica dell’ultimo attacco a Salvini; solo un terzo di riga a
spiegare la versione del derubato: “il colpo è partito
accidentalmente”; tutto il resto a suo carico come se, dai fatti,
non sarebbe stato possibile derubricare il reato da tentato omicidio
a lesioni gravissime; che consentono comunque, gravissime, al
lesionato, di fare il facchino; domanda finale: avesse voluto
ucciderlo, meglio sparare un altro colpo; poi, altri problemi: come
far sparire il cadavere, come esser certi del silenzio del
dipendente, condannato come avesse sparato anche lui……
—Non
è un semplice caso di legittima difesa quello che ha per
protagonista Angelo Peveri, l’imprenditore piacentino condannato in
via definitiva a 4 anni e sei mesi per il tentato omicidio di un
ladro, che ieri ha ricevuto in carcere la visita del ministro
dell’Interno, Matteo Salvini. Anzi, a dare ascolto alle parole del pm
Ornella Chicca, che nel 2001 coordinò le indagini e la cui tesi è
stata condivisa anche dalla Cassazione, “la legittima difesa in
questa vicenda non c’entra nulla”. Eppure, Salvini continua a
sostenere il contrario e conversando coi giornalisti all’uscita dal
carcere di Piacenza ha addirittura ipotizzato un appello al
presidente della Repubblica Mattarella affinché conceda a Peveri la
grazia.
I
fatti.
L’episodio per cui l’imprenditore è stato condannato, assieme a un
suo dipendente, avviene il 5 ottobre del 2011. Quella notte tre ladri
di nazionalità romena vengono colti sul fatto, grazie a un allarme
antifurto, mentre cercano di rubare il gasolio da un escavatore della
ditta di Peveri, lungo il greto del fiume Tidone. L’imprenditore in
passato aveva già subito numerosi furti e quella notte, in compagnia
del suo dipendente Gheorghe Botezatu, romeno anch’egli, interviene e
spara tre colpi di fucile a pompa contro i malviventi, ferendone uno
al braccio e mettendoli in fuga. La storia potrebbe chiudersi lì,
senonché uno dei tre, Jucan Dorel, poco più tardi torna nei pressi
del cantiere per recuperare l’auto usata nel tentativo di furto.
Botezatu se ne accorge, lo riconosce e lo immobilizza. A quel punto
torna in campo Peveri che con Dorel a terra prima lo malmena e poi –
accidentalmente, sostiene lui – esplode un altro colpo di fucile,
colpendolo al petto. Nonostante la ferita gravissima, Dorel
sopravvive. Per fortuna sua, ma anche di Peveri, che verrà
processato per tentato omicidio, e non per un omicidio effettivamente
commesso.
La
vicenda giudiziaria.
E’ proprio questa “coda” l’oggetto della condanna. Perché,
rivelano le perizie balistiche, il colpo è stato esploso a
brevissima distanza (un metro e mezzo, due al massimo) “da una
persona in piedi verso una persona supina”. Non una reazione
difensiva dunque, ma un gesto deliberato. Una vendetta per il
tentativo di furto subito. E’ questo che martedì scorso, otto anni
dopo i fatti, ha portato Peveri e Botezatu a varcare le soglie del
carcere. Condannati rispettivamente a 4 anni e 6 mesi il primo, e a 4
anni e 2 mesi il secondo. Quanto a Dorel, fu condannato a 10 mesi per
il furto e oggi, nonostante le lesioni a un polmone provocate dal
colpo, lavora come facchino.
Le
polemiche.
Il
“caso Peveri” è subito diventato una sorta di manifesto a
favore di una normativa più morbida sulla legittima difesa,
provvedimento di cui la Lega si è fatta promotrice. E
l’imprenditore, da imputato che era nelle aule di giustizia, si è
trasformato nel dibattito pubblico in vittima di un sistema
giudiziario che a destra viene giudicato troppo punitivo nei
confronti di chi subisce un furto. Di qui l’intervento di Matteo
Salvini, che cinque giorni fa ha fatto una telefonata “di pieno
sostegno e vicinanza umana” all’imprenditore condannato, e ieri
addirittura una visita in carcere. Condita da una promessa:
“Cercheremo di fare di tutto perché stia in galera il meno
possibile”.
Cremona
24 02 2019 www.flaminiocozzaglio.info
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