J’ACCUSE – SESSANTASETTE
“Si tratta di due stilisti che pensano in grande come si conviene alla squadra di un grande gruppo italiano della moda presente nel mondo. E quindi, trasferire la sede dei marchi in Lussemburgo, è proprio di un’impresa moderna, di più: un’operazione lecita. Perché in fondo, Dolce & Gabbana hanno pagato le tasse. Poche, all’estero, ma pagate: il 4% sulle royalties in Lussemburgo anziché il 45% in Italia. Sarebbe la parola dell’accusa ma si trasforma nell’arringa della difesa. Così alla fine della sua requisitoria il Pg Gaetano Santamaria chiede ai giudici d’appello dinanzi ai quali si trovano imputati per omessa dichiarazione dei redditi i due stilisti, di assolverli con formula piena.”
Il pezzo è sulla Stampa in carta di ieri e conferma una delle mie tesi: si sbaglia da soli, ma spesso aiutati dagli altri. Premesso un giudizio tecnico, non c’è nulla di scandaloso se l’Accusa chiede l’assoluzione, non sarà il vestito, spero, a indirizzare la mente e infatti la legge non lo chiede, il giornale, su un argomento di enorme importanza per la società, invece di pensare e decidere in grande sceglie una parte e fa il tifo per quella: Dolce&Gabbana sono due evasori, vanno puniti, ma trovano un alleato proprio nell’Accusa.
Che può anche essere, io non conosco la legge e pressapoco i fatti, però non credo che il giornalista ne sappia più di me: ma il problema, riguarda ben altro che questo processo, tutta la giurisdizione! è se sia possibile che due giudici pur con diverse funzioni, sullo stesso fatto la pensino che più opposto non si può, quando un imperativo categorico, il solito 533cpp, ordina di condannare solo quando la colpa è certa al di là di ogni ragionevole dubbio. Per i giudici di primo grado venti mesi e milioni; per il Procuratore generale è questione di buon senso, termini qui insultanti, assolvere perché il fatto non sussiste. Il destino dell’italiano che abbia la sfortuna di entrare in Tribunale non dipende dai fatti ma da come li vede il Giudice che, come si deve convenire in questo come in tanti altri processi, più che un tecnico del diritto sembra uno Shakespeare in giornata di grazia?
E un giornale del calibro della Stampa va a prendere il particolare per l’universale?
Se questo succede in un grande processo, con grandi protagonisti, in uno dei maggiori Tribunali d’Italia, Milano, e i grandi commentatori manco dan segno di accorgersene, non dobbiamo lamentarci di un Massa Pio e colleghi che in una cittaducola di provincia massacrano un medico e famiglia: di medici son pieni gli ospedali!
Semmai dovremmo ringraziarli di uno spettacolo che altrove è difficile godere, in un’Aula di Tribunale beninteso: sfere di cristallo, chiavi che vanno e vengono in piena autonomia, gas indipendenti da ogni interpretazione umana, fatti che a ogni replay mutano immagine e consistenza eccetera.
Perché nonostante ogni tentativo dialettico di motivare il diverso, è oggettivo per chiunque miri ai fatti e non alle proprie idee innate che Claudia abbia ingoiato 92 pastiglie di Xanax e Livia tre, di cui una vomitata dopo essere stata semidistrutta dagli acidi dello stomaco, come accertato dai periti; ma diamo pure il contentino a Massa e per certa la sua ipotesi, non pastiglie ma 5/6 flaconcini di gocce: come avrebbe fatto, non Iori, chiunque, un estraneo, a dargliele in pochi minuti quasi a digiuno senza se ne accorgessero?
E io continuo a citare le pastiglie perché sono immediatamente comprensibili, in una riga, anche da un inesperto; nemmeno gli anicetti passerebbe inosservati. Ma dal punto di vista tecnico è ancor più impegnativo dimostrare il percorso del poco gas entrato nei corpi, e infatti, dopo cinque mesi di inutili tentativi, perfino i consulenti han rinunciato: un caso irrisolvibile per loro, figuriamoci per un assassino che non esiste!
Cremona 27 03 2014 www.flaminiocozzaglio.info