LA
LEGGE DEL PIU’ FORTE – MILLETRECENTOVENTISETTE
Dal Dubbio; qualche giudice occupa spazi che la legge non concede,
se poi la legge li concede è facile immaginare il seguito….
—È
il reato da sempre nel mirino di Matteo Salvini: l’abuso d’ufficio,
articolo 323 del codice penale. Anche questa settimana il
leader della Lega è tornato a chiederne a gran voce l’abolizione.
SALVINI
VUOLE LA DEPENALIZZAZIONE
«Metà
degli interventi si sono soffermati sui tempi della giustizia. In
tanti operatori, sia del pubblico che del privato, hanno chiesto il
superamento di alcune fattispecie come l’abuso d’ufficio e il
danno erariale», ha dichiarato a margine del maxi incontro di lunedì
pomeriggio al Viminale con le parti sociali.
«Su
questo la posizione della Lega è nota – ha poi aggiunto Salvini -,
queste sono cose che stanno ingessando sia il pubblico che il
privato». Già lo scorso maggio il vice premier, in piena bagarre
sulla riforma della giustizia, aveva infatti proposto di cancellare
l’abuso d’ufficio dal codice penale, preoccupato dal fatto «che
ci sono 8mila sindaci bloccati che non firmano nulla per paura di
essere indagati».
M5S
CONTRARIO
I
grillini, per bocca di Luigi Di Maio, avevano però subito stroncato
la proposta: «Se qualcuno pensa di poter aiutare qualche governatore
abolendo il reato, allora troverà non un muro, ma un argine da parte
del M5s».
Raffaele
Cantone, fino al prossimo mese presidente dell’Anac, chiamato in
causa si era mostrato possibilista su una modifica della fattispecie,
affermando che «la norma non funziona» .
Il
reato di abuso di ufficio si verifica quando il pubblico ufficiale o
l’incaricato di pubblico servizio nello svolgimento delle sue
funzioni procura «a sé o ad altri un ingiusto vantaggio
patrimoniale» oppure «arreca ad altri un danno ingiusto». Per
commettere il reato di abuso di ufficio è necessario agire «in
violazione di norme di legge o di regolamento» oppure «omettendo di
astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo
congiunto o negli altri casi prescritti».
L’abuso
d’ufficio è punito con la reclusione da uno a quattro anni. La
pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un
carattere di rilevante gravità.
DIBATTITO
FRA GIURISTI
Tralasciando
l’opinione di Salvini, la discussione fra i giuristi su questo
reato è da sempre particolarmente accesa. La norma è stata modifica
prima nel 1990 e poi nel 1997. Nel 2012, la legge Severino ha
inasprito il trattamento sanzionatorio, inizialmente della reclusione
«da sei mesi a tre anni».
Il
problema di fondo è la possibilità data al pm di sindacare
l’attività, per sua natura connotata di discrezionalità, della
pubblica amministrazione.
«L’Italia
è un Paese che ha 200mila leggi, decine di migliaia di regolamenti
di attuazione, decine di migliaia di altre regole applicative delle
leggi approvate. Ha un tasso di cambiamento vertiginoso che si
aggiunge all’inflazione legislativa», affermò tempo fa il
presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, più volte
indagato dalla Procura proprio per il reato di abuso d’ufficio.
«Bisogna
mettersi nei panni di un dirigente di un ufficio appalti di un Ente
pubblico e cercate di capire come sia possibile muoversi in questo
ginepraio, nel quale il reato di abuso d’ufficio diventa uno di
quelli che io chiamo inevitabili», aggiunse il governatore campano.
Lo
“spauracchio”, infatti, è determinato dalla famigerata legge
Severino che consente di sospendere dall’incarico i politici che
vengono condannati anche solo in primo grado per reati contro la
pubblica amministrazione.
«Un
funzionario o un amministratore che venga condannato in primo grado,
si vede il dimezzamento dello stipendio, il demansionamento e lo
spostamento a settori non operativi. Si rovina la vita», sottolineò
sempre De Luca. Di questo reato “inevitabile” le vittime sono
quanto mai trasversali.
LA
VICENDA RAGGI
È
sufficiente ricordare la vicenda del sindaco di Roma, la grillina
Virginia Raggi, per l’assunzione di Raffaele Marra, il suo ex capo
di gabinetto, o quella del presidente della Regione Lombardia, il
leghista Attilio Fontana, per la nomina di un componente del Nucleo
investimenti pubblici. Complice una giurisprudenza non sempre chiara
sul punto, per evitare di rimanere anni in balia della magistratura,
“l’autotutela” per il pubblico amministratore è, dunque, il
non fare nulla.
A
pagarne le conseguenze, però, non sono i magistrati ma i cittadini.
Ceriana
08 08 2019 www.flaminiocozzaglio.info
flcozzaglio@gmail.com