Giu 20 2020
i sovranisti che berciano 20 06 2020
I SOVRANISTI CHE BERCIANO
Giannini Massimo, nuovo direttore della Stampa e protagonista di Otto e mezzo, lo show culturale della Gruber, nel rispondere a un lettore si tira la zappa sui piedi. I sovranisti, così li chiama, da Berlusconi in avanti per finire a Salvini, berciano senza alcun dubbio, se lo dice lui che vien da Repubblica, per non saper raddrizzare i conti come pretende l’Europa, e in pochi anni; conti che i Padri della Patria hanno storto in decenni di mirato e feroce attivismo!
—Un orizzonte storico-politico-culturale che parte dal primo dopoguerra e si ferma a ridosso degli Anni ‘80. Se questo è il parametro, e se questi sono i protagonisti, sono con lei tutta la vita: parliamo di una stagione magnifica, e forse purtroppo irripetibile. Ma io, in quell’intervista televisiva, non parlavo certo di questa Italia che lei, comprensibilmente, rimpiange. Io mi riferivo a quella che è cominciata dopo, e che è culminata con quelli che Indro Montanelli (in questi giorni altro italiano di cui molto si discute) definì “gli anni del fango”. Tangentopoli, le Partecipazioni Statali trasformate in mangiatoia della politica e dei boiardi, la cultura del debito pubblico. L’Italietta che non rimpiango è quella. Quella dei padri che non si sono curati dei figli, e che certo hanno campato bene, tanto che lei oggi ricorda quel periodo come “gli anni felici”, ma grazie alle cambiali che hanno scaricato sulle generazioni future. Quell’Italietta era cominciata anni prima, purtroppo anche nella stagione di cui lei ha nostalgia. E campava così: spendeva e spandeva, per esaudire tutte le clientele e comprare consensi a carico del bilancio pubblico. Copriva i buchi a colpi di deficit e di aste dei Bot. L’inflazione schizzava alle stelle, i mutui si pagavano con un botto di interessi, la bolletta energetica ci costava una fortuna. Ma c’era la scala mobile, e ogni due anni si faceva una bella svalutazione della lira, e tutto tornava a posto. Per modo di dire, ovviamente: perché intanto il debito esplodeva, le famiglie con l’inflazione a due cifre pagavano senza rendersene conto “la più odiosa delle tasse occulte” (come gli economisti definiscono giustamente l’inflazione) e le aziende si garantivano un po’ di competitività non grazie all’aumento della produttività ma al puro e semplice miglioramento delle ragioni di scambio valutario. A tutto questo aggiunga le generose prebende concesse dai partiti di maggioranza nella logica del voto di scambio: come le pensioni-baby, varate con un decreto legge del Natale 1973 da un governo Rumor (che hanno consentito a qualche milione di persone di andare in pensione con i mitici “14 anni sei mesi e un giorno”, e che oggi ci costano ancora 9 miliardi l’anno). È esattamente con questi meccanismi che ci siamo stretti il cappio al collo che ci ha soffocato e ci sta ancora soffocando in questi anni. Ed è quella l’Italietta cinica e miope che oggi critico, quando penso invece ai grandi benefici che ci ha portato l’adesione alla moneta unica e a un progetto europeo di respiro più vasto. Se oggi siamo ancora costretti a fare sacrifici, a dispetto di quello che berciano i Sovranisti alle vongole, non è colpa dell’Europa Matrigna. Semplicemente, stiamo saldando il conto che ci ha lasciato quel Paese lì.
Francoforte 20 06 2020 www.flaminiocozzaglio.info flcozzaglio@gmail.com
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