Giu 02 2020
la legge del più forte-milleseicentotredici 02 06 2020
LA LEGGE DEL PIU’ FORTE – milleseicentotredici Da www.errorigiudiziari.com; è un pezzo lunghissimo, che non commento, ma vi prego di arrivare alla fine, se vogliamo capire fino a che punto possa arrivare la giurisdizione italiana.
—La descrizione di un errore giudiziario nelle parole di chi lo ha vissuto. Il racconto di come si può restare vittima di un’ingiusta detenzione, fatto da chi il carcere da innocente lo ha subito per un mese intero. Questa sorta di diario di un’odissea giudiziaria che pubblichiamo è una delle mille che in media ogni anno colpiscono il nostro Paese. Leggetela fino in fondo, perché dice molto dello stato della giustizia in Italia. Contiene la gran parte degli elementi che tutte le storie simili di errori giudiziari e ingiuste detenzioni presentano: la perquisizione e l’arresto nella notte, il trasferimento in carcere, lo sbigottimento delle prime ore, la detenzione inspiegabile a un innocente, la trafila burocratica con le maglie di una giustizia che sembra accanirsi contro il protagonista. E intanto la vita, gli affetti, il lavoro, la reputazione finiscono in pezzi. Quella accaduta ad Alfredo Venturini (e da lui raccontata in prima persona) è una storia emblematica. Leggetela fino in fondo. “Era il 15 febbraio del 1994 a mezzanotte circa, rientravo a casa dopo una lunga giornata di lavoro. Trovo ad attendermi davanti al portone di casa una persona che si qualifica come sottufficiale della Guardia di Finanza. Mi dice di accompagnarlo in casa. Lì trovo altri due finanzieri che stanno effettuando una perquisizione presso il mio domicilio. Mia moglie è terrorizzata. Mi notificano un’ordinanza di perquisizione e procedono: nel mio studio, nel salotto, in cucina, in camera da letto ecc.ecc.. Alle due mi dicono che devono entrare nella stanza dei miei bambini; sono molto piccoli, io e mia moglie proviamo a svegliarli. Sono spaventati dalla presenza di estranei che mettono mani sotto i loro lettini, fra i loro giochi… Alle 3,00 finita la perquisizione, peraltro priva di esiti, il sottufficiale mi dice che deve notificarmi un’ ordinanza di custodia cautelare e che devo seguirlo in carcere, m’invita pertanto a portare con me un bagaglio con il necessario. Cerco inutilmente di tranquillizzare mia moglie e i miei figli, esco di casa avviandomi verso il penitenziario e lì trascorro un mese di detenzione. Due giorni dopo vengo interrogato in Carcere dal Giudice delle Indagini Preliminari alla presenza del PM e del mio avvocato. Mi si contestano i reati di Falso e Corruzione e su questo vengo interrogato. Inutilmente protesto la mia innocenza, fornendo tutti gli elementi utili ad accertare i fatti che mi sono contestati. Rendo una deposizione esaustiva su tutti gli elementi, l’avevo gia fatto un mese prima quando dallo stesso PM ero stato sentito come persona informata sui fatti. Alla fine dell’interrogatorio chiedo di conoscere come, quando e da chi sarei stato corrotto. Mi rispondono che stanno indagando e che avrebbero meglio precisato nel corso delle indagini. L’avvocato chiede il mio rilascio o in alternativa la misura degli arresti domiciliari, gli rispondono che la richiesta è prematura. Dopo una settimana avanziamo istanza di scarcerazione al tribunale del riesame, lo stesso la respinge ritenendo me (assolutamente incensurato) persona pericolosa e capace di delinquere. Non vengo mai più interrogato in carcere e dopo un mese apprendo che il GIP ha firmato un’ordinanza di scarcerazione. Torno a casa. Nel frattempo Giornali e TV nazionali e locali hanno fatto scempio della mia persona. Ancora nessuno risponde alla mia domanda: come quando e da chi sarei stato corrotto. Vengo rinviato a giudizio, ma la mia domanda resta inevasa.
Mi preparo al processo nel corso del quale, il Pubblico Ministero non chiarisce in che cosa sia consistita la corruzione nei miei confronti, né chi mi avesse corrotto, chiamando a deporre contro di me malavitosi e truffatori, che nel corso del mio impegno politico e amministrativo ho tenacemente combattuto. Devo persino assistere alle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia che nel corso della sua deposizione dichiara di conoscermi: ammette candidamente che “un giorno mi aveva seguito per uccidermi perché avevo bocciato un progetto che voleva realizzare su un suolo pubblico”. Il 5 novembre 1999 la sentenza: sono assolto dal reato di falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici perché il fatto non sussiste, condannato a 3 anni di reclusione per il reato di corruzione aggravata per un atto contrario ai doveri d’ufficio, le attenuanti generiche vengono ritenute equivalenti all’aggravante del reato, interdetto dai pubblici uffici per cinque anni, incapace di contrattare con la Pubblica Amministrazione, al risarcimento del danno e delle spese legali nei confronti del Comune di Taranto. Mi domando perché avrei dovuto essere corrotto se non ho commesso il reato di falso dal quale sono stato assolto perché il fatto non sussiste? Non ricevo risposte. Per me è un disastro morale, economico, familiare. Perdo il lavoro e la fiducia della mia famiglia, mia moglie chiede la separazione, i miei figli decidono di abbandonare la città in cui sono nati. Rimasto solo, continuo a protestare la mia innocenza facendone una ragione per continuare a vivere. In appello la Procura Generale chiede in parziale riforma della sentenza di primo grado di non doversi procedere nei miei confronti per estinzione del reato per intervenuta prescrizione escludendo l’aggravante. Rifiuto la prescrizione pretendendo un giudizio di merito: ho il diritto si sapere con una sentenza se sono colpevole o innocente! I giudici della Corte d’appello, forse infastiditi dal mio comportamento di sfida decidono di “aprire le carte contenute nei faldoni che non erano mai stati aperti e che pure erano agli atti del processo. Li c’erano le prove della mia innocenza. Il 22 giugno del 2002 la sentenza: La corte di Appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, visto l’art. 605 c.p.p. in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Taranto, letto l’art. 530 cpv. c.p.p. assolve Venturini Alfredo dal reato di corruzione per atto di ufficio, perché il fatto non sussiste. Le motivazioni della sentenza vengono depositate il 26 giugno del 2004, oltre due anni dopo la sentenza. Ma la Procura persiste ed impugna la Sentenza in cassazione, ricorso che la Suprema Corte con Ordinanza del 7 ottobre 2005 respinge ritenendolo infondato e inammissibile. La mia innocenza mi è costata un mese di carcere, dodici anni di processo, il lavoro, la famiglia, e la stima di cui disponevo. Riprendo a vivere normalmente, riconquistando la fiducia di mia moglie e dei miei figli e riprendo anche a lavorare dovendo maturare la pensione che oggi mi consente di vivere dignitosamente. Quando la sentenza definitiva della Cassazione viene depositata e resa definitiva, avvio l’istanza di riparazione del danno presso la Corte d’Appello. Il 7 giugno 2010 la decisione: “sussistono le condizioni ed i presupposti per il riconoscimento del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione nei confronti di Alfredo Venturini, atteso che dagli atti processuali non possono ritenersi acquisiti elementi tali da far ritenere che il ricorrente abbia in alcun modo dato o concorso a dare causa per dolo o colpa grave alla emissione o al mantenimento restrittivo nei suoi confronti, mentre le accuse contro di lui sono risultate, al vaglio dibattimentale, del tutto prive di fondamento;” “ai fini della valutazione del quantum..” viene specificato che “lo stesso ricopriva,all’interno del mondo politico tarantino, un ruolo di primo piano sia come Assessore del Comune di Taranto che come esponente del partito socialista e la contestazione dei delitti ne aveva danneggiato in maniera irreversibile l’immagine sociale, screditandolo come uomo politico ed impedendogli di consolidare la brillante carriera politica avviata” La Corte di Appello di Lecce – Sez. dist. Di Taranto accoglie la domanda di riparazione per ingiusta detenzione…condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento della somma di euro 12.000 (dodicimila). Tanto vale la vita di un uomo, della sua famiglia, la sua dignità, il suo onore, la sua salute, la sua immagine. Avrei potuto far ricorso in Cassazione impugnando l’ordinanza, molto probabilmente la Suprema Corte l’avrebbe accolta rinviandola alla Corte d’Appello, sarebbero stati sempre loro a decidere sui comportamenti dei loro colleghi. Ho deciso di non procedere accontentandomi di aver vinto sul principio e perso sulla sostanza. Ma mi ero illuso. Non è finita. L’ufficiale giudiziario ha suonato alla mia porta notificandomi il ricorso per Cassazione del Pubblico Ministero. Si è limitato a riproporre gli argomenti del primo processo per impugnare l’ordinanza e chiederne l’annullamento, tra l’altro presentandolo fuori termine (attestazione del Cancelliere), in ogni caso andrà in Cassazione che potrà respingerlo con quella motivazione, ma io dovrò comunque costituirmi con l’avvocato assumendomi ulteriori onerose spese che nessuno mai mi riconoscerà. Sta tutta qui amici miei la vulnerabilità del sistema giustizia. Loro sanno di poter compiere impunemente ogni atto per il quale non pagheranno mai a differenza dei comuni mortali. Il Paese necessita di riforme come il pane, occorre solo il coraggio per affrontarle e decidere. Sono un riformista convinto e so che le riforme per essere efficaci non possono accontentare tutti, quando lo fanno vuol dire che non hanno scelto e quindi non hanno riformato nulla. È la malattia peggiore dell’Italia. Nel periodo che va dal 1 gennaio 2001 al 28 febbraio 2010 il totale delle riparazioni pagate dallo Stato italiano per ingiusta detenzione ed errore giudiziario ammonta a 423.682.000 euro, ovvero circa 40 milioni annui. La cifra sfiora i 500 milioni se si tiene conto degli indennizzi versati negli anni Novanta. Quanti problemi avremmo potuto risolvere utilizzando tali fondi? Le riforme hanno tentato di farle alcuni Ministri di destra e di sinistra e sono stati fermati anche per qualche scheletro nell’armadio. La sinistra Italiana se avesse in sé un DNA garantista avrebbe dovuto assumere l’iniziativa, riconquistando la fiducia di tanti che come me hanno visto prevalere nella sinistra stessa un anima giustizialista o forse solo pavida nei confronti della casta dei magistrati. C’è gente che non vive nei clamori dei media, lo ha fatto per un giorno, quando ha subito l’onta dell’arresto e della carcerazione ingiusta, poi tutto è passato nel dimenticatoio e nella indifferenza quotidiana, ma è gente che non dimentica. Ed è a questa gente che io ho deciso di dedicare la vita che mi resta. Il 20 febbraio 1987 Enzo Tortora tornava alla televisione a Portobello, ripartendo la dove era stato interrotto. La televisione gli dava anche l’occasione di diventare la voce di tutti quelli che subivano ingiustizie e non avevano i mezzi per farsi sentire. Lui voleva diventare quella voce. Subito dopo la sua assoluzione si recò in Sardegna a pregare sulla tomba di Aldo Scardella. Un ragazzo di 20 anni che si era impiccato in carcere, arrestato ed imprigionato per errore. Non aveva avuto la forza di resistere. Il 17 marzo 1988 Enzo Tortora viene definitivamente assolto dalla Cassazione. Nessuno degli sbugiardati è stato incriminato, processato e condannato per calunnia. Nessuno dei magistrati che hanno gestito l’inchiesta è stato inquisito e punito dal Csm. Anzi, hanno fatto tutti una splendida carriera. Nessun risarcimento è stato riconosciuto ad Enzo Tortora o ai suoi eredi. Anzi, le sue figlie hanno dovuto pagare le spese per la querela fatta a Melluso. I giornalisti (pochi) che hanno raccontato e denunciato i misfatti del processo sono stati condannati a risarcire lautamente i magistrati”.
Francoforte 02 06 2020 www.flaminiocozzaglio.info flcozzaglio@gmail.com
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