LA LEGGE DEL PIU’
FORTE – MILLETRECENTOTRENTA
Dal Dubbio; una sola
battuta a commento: accettando la proposta di Caselli, Enzo Tortora
si sarebbe fatto anni di carcere, dopo la condanna in primo grado!
—Caselli e la
boutade sull’abolizione dell’appello
Colpisce
lo spregio dell’ex procuratore per un istituto richiamato dalla
Costituzione. E colpisce soprattutto l’approccio fintamente
efficentista: dietro l’ansia per i tempi lunghi della giustizia
penale c’è una forma di integralismo religioso giustizialista
di
Giorgio Varano*
Alcuni
pubblici ministeri vivono la propria funzione con uno spirito
religioso integralista e giustizialista. Poi, una volta andati in
pensione, o vengono folgorati sulla via di Damasco, o si pongono come
teologi dell’ortodossia integralista. Il Dottor Caselli, con la sua
ridondante proposta di abolire l’appello nel penale, fornisce però
spiegazioni più da seminarista in erba che da teologo. L’ex
procuratore pone due domande: è vero che negli ordinamenti con un
sistema processual-penale di tipo accusatorio di regola c’è un
solo grado di giudizio nel merito? È vero che anche in Italia nel
1989 è stato introdotto un sistema di tipo accusatorio? Teme, nel
porre queste domande capziose, la reazione “cattiva degli
avvocati”. Ma gli avvocati non sono usi a reagire in modo cattivo,
anche perché dotati di tanta pazienza, così come di solito non
pongono domande scivolose, senza avere la certezza delle risposte.
Nel nostro Paese non c’è un sistema processuale
accusatorio “puro”, ma un sistema a tendenza (omeopatica)
accusatoria. Infatti, non ci sono le carriere dei giudici e dei pm
separate, c’è un unico Csm per entrambi, ci sono tantissimi
processi che si svolgono a dibattimento, tanti decisi da giudici
“onorari”, ci sono tanti limiti ai riti alternativi, non ci sono
le giurie solo popolari (le corti d’assise non lo sono), non ci
sono le decadenze o le nullità dell’azione penale o
l’inutilizzabilità assoluta delle prove raccolte in violazione
della legge. Potremmo continuare scrivendo pagine e pagine sul punto.
Ma è meglio partire della costituzionalizzazione dell’appello
nella nostra Carta, nella speranza che possa terminare questa boutade
dell’abolizione dell’appello. Nell’assemblea costituente si
discusse a lungo sull’inserimento formale dell’appello penale
quale diritto costituzionalmente garantito. Ci furono numerose
discussioni, e si convenne di non formalizzare questo diritto solo
per il penale, perché, per dirla con le parole di Meuccio Ruini,
presidente della Commissione per la Costituzione, non conveniva
ammettere espressamente l’appello per certe categorie di sentenze e
provvedimenti, tacendo delle altre, ché sarebbero potute sembrare
escluse dall’appello (seduta del 27 novembre 1947). Ma la migliore
spiegazione la diede il costituente Francesco Dominedò: «La via ad
una più alta tutela delle libertà del cittadino, attraverso la
possibilità di configurare sempre il doppio grado di giurisdizione
(la Cassazione non era e non è considerata un secondo grado) in
quanto sempre operi l’istituto della motivazione, garanzia di
giustizia e segno di civiltà». Ed è proprio questo il punto
in cui è insito il diritto costituzionale all’appello: l’obbligo
della motivazione, previsto da sempre dall’articolo 111 (“Tutti i
provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati”). Senza
considerare poi le convenzioni e le carte internazionali, che
riconoscono come inviolabile il diritto ad un nuovo esame di una
sentenza di condanna o colpevolezza, da parte di un tribunale
superiore. Chiedere l’abolizione dell’appello, per risolvere le
lungaggini processuali, evidenzia una concezione di fondo della
giustizia molto preoccupante: i giudici non possono sbagliare. Il
vero problema non è solo che i giudici sbagliano (quasi la metà
delle sentenze di primo grado vengono riformate in appello). Il
problema è che non leggono perché hanno sbagliato. Infatti, non
hanno l’obbligo di studiare le sentenze di appello avverso le loro
pronunce. Ma è altrettanto preoccupante questo approccio fintamente
efficientista, perché in realtà affronta in modo populista il
problema delle lungaggini processuali, che i dati statistici dei vari
Tribunali confermano essere causato da disorganizzazione e da
mancanza di mezzi e personale. Proporre di abolire l’appello per
ridurre i tempi processuali è un po’ come dire che per eliminare
le attese negli ospedali dobbiamo abolire la possibilità di chiedere
un secondo accesso agli stessi, anche se la prima volta ci hanno
sbagliato la cura. È vero che viviamo tempi in cui si può abolire
la povertà con un post sui social network, ma non è detto che
dobbiamo considerare credibile chi ritiene di risolvere i problemi in
questo modo. *responsabile Comunicazione Unione Camere Penali
Italiane
Ceriana
11 08 2019 www.flaminiocozzaglio.info
flcozzaglio@gmail.com