Gen 31 2023

prigionieri politici 31 01 2023

Published by at 3:58 pm under Pubblica Amm.ne

PRIGIONIERI POLITICI

Hanno continuato a vivere come se fossero a Milano, scrive Antonio Leoni in Mondo Padano, e cosi’ l’han pagata cara; da www.cremonasera.it

Francoforte 31 01 2023  flcozzaglio@gmail.com

—Quarant’anni fa il brusco risveglio, in via Volturno la Polizia trova il covo delle Brigate Rosse con 5 terroristi della Walter Alasia.

Quarant’anni fa il brusco risveglio di Cremona. Di prima mattina, il 31 gennaio 1983, la Polizia scopre in via Volturno 3, proprio vicino alla storica sede del Pci, un covo delle Brigate Rosse. Dentro cinque brigatisti della colonna milanese Walter Alasia in fuga da Milano dove si sentivano braccati. Erano arrivati nella nostra città forse in treno, in una casa anonima della zona di porta Milano da cui uscivano raramente. I cinque si dichiararono subito prigionieri politici ed erano Adriano Carnelutti (nome di battaglia comandante Franco), Giuliano Marchi, Caterina Francioli, Ario Pizzarelli e Patrizia Sotgiu. Da tempo la polizia teneva sotto osservazione quell’appartamento al piano terra in cui vivevano più persone e che, specialmente la sera, si animava. Si pensava ad un pied-à-terre per il consumo di droga. Così quella mattina si decise di fare irruzione. Gli agenti si fecero aprire la porta suonando a una vicina, poi un agente bussò alla porta dell’appartamentino. Ad aprire era la vivandiera del gruppo, Caterina Francioli, l’unica che usciva di tanto in tanto a fare spesa. Davanti alla canna spianata di una pistola si mise subito a gridare: “Siamo delle Brigate Rosse, siamo prigionieri politici“. All’interno, nei sacchi a pelo, stavano ancora dormendo gli altri quattro del gruppo. Si alzarono di scatto, Carnelutti cerò di impugnare la pistola che aveva sotto il materasso ma era già sotto il tiro degli agenti. Così quel che restava della colonna milanese Walter Alasia è stata neutralizzata. L’appartamento era di proprietà di un cremonese, all’estero per lavoro. Nel covo armi, una macchina da scrivere (specialmente di sera i vicini sentivano il ticchettio delle battute sui tasti), quattro parrucche, volantini, tanti documenti (11 scatoloni, probabilmente l’archivio della colonna trasferito da MIlano). Appeso al muro un poster di Ernesto Che Guevara. 

Antonio Leoni, all’epoca direttore di “Mondo Padano”, in un editoriale raccontò del clamoroso errore che i brigatisti compirono in quella casa del centro.  “L’errore che li ha portati all’arresto – scrisse Leoni – è stato quello di non identificarsi affatto con la città. Hanno continuato a vivere come se il loro covo fosse a Milano, dimenticando che a Cremona, e specialmente nel centro storico, esiste ancora un rapporto umano, ci si conosce tra inquilino e inquilino, si scambia una parola quando ci si incontra sulle scale. I vicini riferiscono infatti che le finestre del covo erano costantemente chiuse. Nelle interviste aggiunsero di aver incontrato sulle scale e con fare estremamente circospetto soltanto due persone ma di aver avuto la sensazione che

nell’appartamento fossero presenti molte più persone, specialmente la sera“. Come avrebbero potuto passare inosservati in una piccola città?

Le foto sono di Giuseppe Muchetti

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