TRECENTO MILIONI
per l’ottava o nona meraviglia del mondo, scrive Antonio Grassi in www.cremonasera.it, ma ho l’impressione, senza dubbio errata, che maltratti un poco Giuseppe Rossi, direttore generale….
Francoforte 27 02 2022
www.flaminiocozzaglio.info flcozzaglio@gmail.com
—Il
nuovo ospedale? L’ottava meraviglia
Il
nuovo ospedale di Cremona è candidato a diventare l’ottava
meraviglia del mondo. Piazzato tra la piramide di Cheope e il
Colosso di Rodi, trasformerà la città nella capitale della sanità.
Da decidere se italiana, europea o mondiale. Lo è già del latte,
della protesta, della ricerca, dell’innovazione e dell’energia.
Ma anche delle illusioni, delle pippe, del vorrei ma non posso. Delle
opportunità sprecate.
Con
la presentazione dell’assessore regionale Letizia
Moratti all’Expo
di Dubai, l’ospedale delle meraviglie è nella leggenda.
Sulla
rampa di lancio, pronto per raggiungere la sanità stellare, è un
mito.
Con
l’intervista rilasciata al quotidiano La
Provincia (23
febbraio) da Giuseppe
Rossi direttore
generale dell’Asst di Cremona, è anche uno spartiacque.
«È
la prima volta –
sottolinea Rossi – che
in Italia si sceglie la strada di un concorso internazionale che
verrà vinto dal migliore progetto e non dal progettista».
Non
male: non vincerà l’elaborato peggiore e sarà evitato il casting
tra archistar e super ingegneri del settore. Però i progetti
qualcuno dovrà presentarli. E in un concorso pubblico, da sempre,
vince la proposta migliore, non la più scalcinata. Può succedere il
contrario, ma è materia da codice penale.
L’intervista
occupa una pagina intera e non è firmata.
Rossi
risponde a un giornalista sconosciuto, fantasma che lo asseconda. È
un monologo, inframezzato da domande, finalizzate a interrompere il
soliloquio e a permettere al lettore di rifiatare. Assente il
confronto dialettico.
Rossi
prende in mano il pallino. Se la suona e se la canta
dall’inizio alla fine, in sintonia con il suo passato da
chitarrista, nome d’arte Gegè, dei Distretto 51.
Intona
il Salmo 19, in versione laica e adattato alla situazione, e
glorifica l’ospedale 4.0. Gioiellino ipertecnologico,
iperefficiente e ipercontrollato, lo si può immaginare privo di
umanità, algido e supponente. E perché no? inquietante, con la
videosorveglianza in tutte le camere e il resto che lo renderà set
ideale per girare un film fantascientifico.
Rossi
si esibisce in un inno all’assistenza dei cyborg di domani e
trascura gli attuali umani, che, sfiniti dal vivere quotidiano, per
un sollievo si aggrappano ai medici di base, merce rara.
L’intervista
è un surf sulle onde della sanità d’eccellenza, con un passaggio
veloce su quella del territorio e con annessa ammissione della sua
importanza. Inciso che puzza di captatio benevolentiae verso
gli scassapalle contrari alla costruzione di un santuario da trecento
e passa milioni di euro.
Con
medici e infermieri speciali e attrezzature straordinarie, la
cattedrale pensionerà la Madonna e la sostituirà nella pratica dei
miracoli. Non ci saranno cuori per grazia ricevuta, ma costi da
capogiro.
Cremona,
capitale della sanità. La formula è semplice: ospedale da sballo,
aria inquinata, studi epidemiologici al palo o poco oltre.
Quasi tutti zitti, allineati e coperti. E vai con il liscio.
L’ospedale
rimarrà il sole intorno al quale ruoterà la sanità del contado.
La medicina di prossimità resterà quella frequentata dagli ultimi e
penultimi. Dai tanti sfigati rappresentati dal Daniel
Blake di Ken
Loach in
un film magistrale e da brividi.
Gente
comune che sopravvive, frustrata e impotente, tra problemi di salute,
bollette da pagare, stipendi da fame e il virus endemico della
burocrazia statale, regionale, provinciale e comunale.
Il
peana di Rossi è un omaggio alla sanità toccasana per l’economia.
«È
importante –
spiega il direttore generale – pensare
alla spesa sanitaria non come un costo, bensì un investimento
funzionale allo sviluppo economico e alla stabilità. Investire nel
sistema sanitario significa infatti generare occupazione, benessere e
di contro ridurre l’esclusione sociale».
Sarebbe
più coerente se l’investimento fosse funzionale alla salute dei
cittadini, ma è un parere personale.
Impegnare
una montagna di quattrini nel nuovo ospedale, nell’immediato, può
essere più redditizio che destinarli alla medicina sul territorio. È
improbabile lo sia sul lungo termine. Sostenere che la macchina da
guerra prevista sia una flebo per la cura e l’assistenza dei
cittadini del territorio è opinabile.
Il
diritto alla salute non richiede prestazioni da Guinness dei primati,
meritevoli di essere pubblicate su riviste con il miglior Impact
Factor. Serve molto meno. È sufficiente una medicina non schiava
dell’economia, ma questo non significa ignorarla.
L’assistenza
sul territorio non è da oscar e anche la coppa del nonno potrebbe
essere un riconoscimento eccessivo. La causa non sono i medici, ma le
strutture mancanti e un’organizzazione inadeguata. Trecento milioni
potrebbero aiutare a risolvere il problema.
La
versione lillipuziana del Massachusetts General Hospital di Boston o
di qualche altra stella polare della sanità mondiale conferirà
prestigio al territorio e attenuerà alcune criticità della sanità
locale, ma non risolverà il problema della medicina e
dell’assistenza in prima linea.
Con
trecento milioni avremo un ospedale di ottimo livello, ma
lillipuziani siamo e lillipuziani non smetteremo d’essere. E i
pazienti continueranno ad incazzarsi per la mancanza di riposte
veloci e convincenti ai loro bisogni più semplici.
«Il
nuovo ospedale ci renderà più attrattivi».
E il riferimento di Rossi è alla possibilità di attirare
l’interesse dei forestieri. È un’ottima argomentazione a
sostegno della scelta e anche le motivazioni che il direttore
generale porta sono appropriate, ma non sufficienti per giustificare
l’operazione.
Neppure
il peso degli anni la giustifica.
«In
Italia la maggior parte degli ospedali ha superato strutturalmente il
loro limite massimo di età –
in genere cinquant’anni – e
quello di Cremona è un esempio lampante».
Quello
di Crema è lampantissimo: 54 anni.
«Inaugurato
il 27 ottobre 1968 era costato, compreso le attrezzature, 2 miliardi
e 440 milioni di lire»
(Nicoletta Bigatti, Avrò
cura di te.
Edizioni Centro ricerca Galmozzi), ma nessuno ha mai pensato di
abbatterlo e costruirne uno nuovo.
Al
contrario, Crema incontra problemi per la realizzazione di una casa
di comunità, struttura per la medicina del territorio e il cui costo
è pari a una mancia, rispetto all’investimento per l’ospedale
dei sogni.
Dove
sta il problema?
«Una
buona salute collettiva, prima ancora che nelle mani di medici, è
nelle scelte della politica» (Vittorio Agnoletto, Senza
respiro,
Altroconsumo). E, occorre aggiungere, dell’economia che oggi, più
del passato, impone le priorità alla politica stessa.
Il
business è senza cuore, senza ideali, senza tessere di partito.
Business is business. E la salute non è più un diritto
garantito dalla Costituzione. È una merce che si vende e si compra.
È
per questo che Cremona avrà l’ottava meraviglia del mondo?
Difficile
rispondere. Di sicuro, la decisione non è stata presa in riva
al Po.