Ott 14 2021
fosse stato un calciatore 14 10 2021
FOSSE STATO UN CALCIATORE
Gilberto Bazoli avrebbe indossato la maglia più prestigiosa, la numero 10, tanta è la classe con cui racconta le sue “storielle”: oggi si trova di fronte Roberto Codazzi, naturalmente su www.cremonasera.it
Francoforte 14 10 2021 www.flaminiocozzaglio.info flcozzaglio@gmail.com
—“Questo auditorium, vestito su misura per la grande musica”. Roberto Codazzi racconta il successo del “suo” Stradivarifestival
Domenica sera, Auditorium Arvedi: una spettatrice, in piedi come tutto il pubblico per applaudire l’exploit dei quattro sassofonisti arrivati da Colonia e del violoncellista russo, si avvicina a Roberto Codazzi, direttore artistico del Museo del Violino e dello Stradivarifestival. Poi gli sussurra qualcosa. “Veniva con il marito da Pavia, era un’insegnante di musica. Mi ha detto che è stato uno dei concerti più belli a cui avesse mai assistito. Per me è stata una soddisfazione enorme”.
Quello
spettacolo è stato l’appuntamento conclusivo del Festival. Tempo di
bilanci, quindi, per il suo ‘inventore’.
-I numeri della
manifestazione?
“Il
Festival è stato realizzato ancora con il regime dei posti ridotti e
del distanziamento. Ciò premesso, si è sempre registrato il tutto
esaurito”.
-Le
va di fare una carrellata delle diverse esibizioni?
“Perché
no?“
-Cominciando
da quella annullata per il forfait di Lisa Batiashvili.
“E’
stato come se ci avesse investito un treno perché c’era molta
aspettativa per la violinista, per la prima volta a Cremona. Era già
in città quando è stata colpita da un problema fisico importante
che le ha impedito di suonare. Era dispiaciuta ma, naturalmente, il
suo è un arrivederci”.
-E’
poi toccato agli Archi di Cremona.
“Concepisco
un festival anche come un laboratorio. Abbiamo dato la possibilità a
giovani talenti cremonesi di salire su un palcoscenico prestigioso e
consentire loro di decollare. Gli Archi sono il primo gruppo che si
chiama come la città della liuteria e possono diventarne gli
ambasciatori. I grandi festival commissionano la composizione di
brani originali: è accaduto con Domenico Nordio che ha presentato in
prima assoluta un’opera di Roberto Solci ispirata al violino e a
Stradivari.”.
-Si
è quindi passati al violinista Stefan Milenkovich e al
violoncellista Enrico Bronzi.
“Due
esecutori dalle qualità straordinarie. Anche loro si sono messi a
nudo su un palcoscenico come l’Auditorium. Se, da una parte, c’è il
rammarico di non poter ospitare grandi orchestre (le sequoie della
California hanno un diametro di 12-13 metri contro gli 8 per 10 del
nostro spazio scenico, che è un’ellisse), dall’altra, situazioni
come quel concerto si trasformano in un privilegio”.
-In
che senso?
“Sul
palco di un teatro storico, un violino o un violoncello da soli si
perderebbero ma, soprattutto, non ci sarebbe quell’empatia con il
pubblico che è possibile all’Auditorium, dove una suite di Bach
assume la potenza di una sinfonia di Beethoven”.
-Terzo
appuntamento, quello con Jorge Andrés Bosso (violoncello), Fabrizio
Meloni (clarinetto) e Gloria Campaner (pianoforte). E’ d’accordo nel
dire che è stato il momento più sperimentale, ‘difficile’?
“Sì.
All’interno di un festival nicchie, pur non esageratamente
spregiudicate, di sperimentazione bisogna aprirle. Il pubblico ha
gradito. Quando la cosa non è troppo estrema, anche gli spettatori
più scettici sono disposti a seguirti. Se dopo Brahms, proponi Frank
Zappa, si capisce che intendi stimolare curiosità e orizzonti
mentali che lo spettatore non conosceva”.
-E’
stata, quella, anche la domenica di un ospite d’eccezione in platea
come Alessandro Baricco.
“Baricco
è veramente lo scrittore che ha inventato il racconto della musica
in Italia, un intellettuale che ha fatto tanto bene alla cultura
musicale del nostro Paese. Lui ed Enzo Bosso hanno dimostrato che la
musica, anche quella colta, può raggiungere numeri prima privilegio
solo alla musica popolare. Che Baricco abbia espresso complimenti per
la nostra manifestazione e la voglia di sviluppare da noi un suo
progetto, beh, non può che farci piacere”.
-Di
nuovo la tradizione con i Musici e Giuseppe Gibboni.
“Un
concerto estremamente classico, ciò che ci si attende da un festival
violinistico. Un bravo violinista solista e un’ottima orchestra al
suo fianco, un talento molto giovane ma già affermato sul quale fare
una scommessa per il
futuro.
E da ciò che il ventenne Gibboni ha dimostrato, la scommessa è
stata vinta. Quanto ai Musici, hanno scelto di festeggiare da noi il
70° anniversario della loro fondazione, e anche questo è motivo di
orgoglio. Noi che siamo un po’ esterofili, nel calcio come nella
musica, dovremmo ricordare che in Italia ci sono delle
eccellenze”.
-Si
torna così all’inizio, all’emozione di quell’insegnante di
musica.
“L’emozione
regalata dal Signum Saxophone Quartet e dal violoncellista Konstantin
Manaev. Per me è stato il concerto perfetto: la bellezza del
programma, non scontato, che spaziava da Bach al ‘900; la bravura
straordinaria dei quattro sassofonisti che hanno eseguito
contrappunti di Bach dalla difficoltà micidiale, una bravura dietro
cui c’è un grande lavoro (hanno provato per due giorni quasi
ininterrottamente); le capacità di Manaev che sembrava un folletto
per la leggerezza con cui si muoveva e che ha eseguito Bach con
l’intensità e la religiosità sonora di un grande interprete maturo.
Tutto questo coniugato alla magia del contesto, del luogo
fisico”.
-Dove
vuole arrivare?
“Quel
quartetto di sax si è messo a semicerchio con il pubblico che lo
abbracciava. Una caratteristica unica dell’Auditorium, che ha creato
una sezione aurea della musica: la bravura degli esecutori,
l’acustica perfetta della sala e anche l’atteggiamento degli
spettatori, l’empatia tra loro e i musicisti. E’ quella magia che
vogliamo regalare ogni volta”.
-Il
Festival avrà una duplice appendice: il 13 novembre, Sergej Krylov
e, il 18 dicembre, i Solisti veneti.
“Finalmente,
con Krylov, si tornerà alla capienza piena. C’è un’aspettativa
senza precedenti per lui, non solo in assoluto ma anche rispetto alle
sue esibizioni precedenti. Un’attesa dettata un po’ dal digiuno di
musica durante lo scorso anno e un po’ per riaffermare la fedeltà
verso questo artista che, fortunatamente, è residente ed è un fiore
all’occhiello. Il suo concerto è stato pensato come il più
difficile per un assolo di violino. Il pubblico lo percepisce già
come un atto d’amore che Krylov manifesta verso la città”.
-Come
sono questi grandi musicisti visti da vicino?
“Sempre
di più si avverte in loro l’emozione di suonare in un luogo unico da
tutti i punti di vista. Per cui vengono già con una predisposizione
favorevole. Ringraziamo loro perché distillano musica da noi ma loro
ringraziano noi per la possibilità di farlo in un contesto come
questo”.
-Lo
Stradivarifestival ha archiviato la nona edizione. Anche qui è tempo
di bilanci.
“Dopo
9 anni, è arrivato il momento che ci sia la consapevolezza che in
città esistono altre istituzioni prestigiose come il Museo del
Violino. Un centro di ricerca e promozione della liuteria con una
reputazione consolidata a livello internazionale, ma che dev’essere
percepito anche come laboratorio di musica e spettacoli. Un
laboratorio che ha una sua dimensione alternativa, non in concorrenza
con quella del Ponchielli, e di altissima qualità. L’intenzione non
è di fare concorrenza al Ponchielli, ma che i due soggetti si
caratterizzino il più possibile proponendo programmi diversi e,
soprattutto, non sovrapponibili a livello di calendario. In modo che
il pubblico possa scegliere, sperando che vada sia in un posto sia
nell’altro”.
-Si
aspettava il successo del Festival?
“Sinceramente,
no. Ma quando si crea una condivisione come quella che c’è stata per
i suoi ultimi concerti, c’è la consapevolezza di aver fatto qualcosa
di buono. Questo sì”.
-Sono
stati nove anni anche per lei.
“Da
parte mia la sincera gratitudine alla Fondazione Arvedi Buschini in
primis e al Museo del Violino per avermi dato la possibilità di
attuare progetti artistici di grande valore. Ho cercato di
interpretare il mio ruolo non come se si trattasse di rempire un
album di figurine, ma di fare il sarto e cucire addosso alle forme
dell’Auditorium, una sala che – non mi stancherò mai di ripetere –
non ha eguali al mondo, un vestito su misura”
Leave a Reply
You must be logged in to post a comment.