Nov 24 2020

gli inizi di giorgio barbieri 24 11 2020

Published by at 4:48 pm under Pubblica Amm.ne

GLI INIZI DI GIORGIO BARBIERI

raccontati da lui stesso su facebook.

—Non sono nato come giornalista sportivo, anche se sotto i vestiti ho sempre indossato la maglietta grigiorossa. Ho cominciato, come dovrebbe essere per chiunque voglia fare questo mestiere, dalla strada: un salto in Questura, un giro in Tribunale, l’incidente stradale, le liti, la droga. Insomma, la cosiddetta ‘nera’, quella che ti mette a contatto con disperazione, disgrazie, lutti. Il mio maestro è stato Gianni Curtani, il migliore in questo settore del giornalismo di quei tempi. Gianni non aveva paura di nessuno, sapeva superare ogni ostacolo, riusciva ad arrivare sul posto a volte anche in contemporanea con le forze dell’ordine. Spregiudicato, a volte anche troppo, come deve essere la figura del giornalista di nera. E’ stata una parentesi di qualche anno, ma ci sono cose che non posso dimenticare. E che non mi sembra il caso di ricordare qui.

Posso invece raccontare di tre processi che ho seguito nel nostro Tribunale. Il più importante è stato quello che vedeva imputato Giulio Collalto per l’omicidio del piccolo (7 anni) Luca Antoniazzi nei locali dell’ex Ospedale di Cremona nel 1979. Durante una pausa ho potuto parlare con lui. Gli ho chiesto perchè aveva fatto una cosa simile e lui mi ha risposto “Volevo solo giocare con il mio amico, non volevo fargli del male”. Mi fece pena, era un uomo rimasto ragazzino, con gravi problemi psicologici. Aveva già ucciso un altro bambino qualche anno prima. Ed era stato rilasciato. Qui venne condannato all’ergastolo.

Altro processo fu quello ad una donna di mezza età (o forse più) che ogni sera metteva nel latte del marito e dei figli qualche goccia di veleno. Credo che il marito fosse già morto, forse anche uno dei figli. Lei smentiva ma le prove erano tutte contro. Condanna ad oltre 30 anni di carcere. Alla lettura della sentenza cadde a terra svenuta. Mi fece impressione quel tonfo rumoroso all’interno della silenziosa aula del tribunale.

Terzo episodio. Un falegname lodigiano aveva violentato una ragazza minorenne. Ogni volta che uscivamo dal Tribunale mi si affiancavano la moglie e la mamma dell’imputato. Insieme facevamo a piedi un tratto di strada. Loro erano convinte che non fosse vero. O cercavano di convincersi che fosse così. Si sfogavano con me, cercavano un’ancora di speranza nella mia figura. Quando il falegname venne condannato ad una decina di anni (ma potrei sbagliarmi) di carcere le due donne corsero ad abbracciarmi in strada. “Ce l’abbiamo fatta – mi dissero – Fra qualche anno lo avremo di nuovo a casa”. Contente loro…

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