Giu 14 2018

la legge del più forte-novecentosei 13 06 2018

Published by at 7:32 am under costume,cronaca nazionale,Giudici

LA LEGGE DEL PIU’ FORTE – NOVECENTOSEI Da www.errorigiudiziari.com; il giudice non sbaglia mai quindi punirlo sarebbe una contraddizione in termini; ma alla vigilessa che ha testimoniato il falso, se Monnet fu assolto e risarcito, nemmeno un: non farlo più? —-È la tarda serata del 19 luglio 2008 in piazza Venezia, a Roma. Julien Monnet è arrivato in mattinata da Parigi con Luna, la figlia di 4 anni. La sua compagna (Fabienne Verdeille, una dirigente della televisione francese) è in vacanza in Turchia, convinta che i due siano a casa. E invece l’uomo ha deciso di partire con la piccola: sono stati da poco al ristorante e ora Julien ha deciso di fare quattro passi. Ma non si sente bene, già nel locale è dovuto correre in bagno per vomitare, ha la nausea e le vertigini. Senza neanche rendersene conto si ritrova sulla scalinata dell’Altare della Patria, mentre Luna non smette di piangere, forse intuendo che il papà ha qualche problema di salute. A un certo momento Julien sente tirare da dietro la bambina per un braccio: nello stato di confusione mentale in cui si trova, non si rende conto che a farlo è una vigilessa, la quale, di fronte alla sua resistenza a mollare la mano della piccola, gli chiede i documenti. Mentre la bambina continua a urlare “papà è malato!”, Julien Monnet fa un movimento brusco, barcolla e cade trascinando sul marmo dei gradini anche la figlia. Trambusto, urla, incomprensione: l’uomo si ritrova le manette ai polsi. Julien Monnet, in effetti, è da tempo in cura psichiatrica. Trentotto anni, un lavoro da tecnico informatico a Parigi, assume regolarmente psicofarmaci. E sono forse gli effetti di uno di quelli a non fargli capire che la situazione è molto grave: la vigilessa testimonierà di averlo visto sbattere con violenza, per ben tre volte, la testa della piccola Luna sul marmo del monumento. Mentre la bimba viene trasportata d’urgenza all’Ospedale Bambino Gesù, dove resterà in coma farmacologico fino al 2 agosto, lui viene fermato dai carabinieri, trasportato prima all’ospedale Fatebenefratelli per medicare le ferite, poi in questura e subito dopo nel carcere di Regina Coeli. Interrogato, si difende come può: spiega che è caduto per sbaglio, che ha trascinato con sé Luna senza volerlo e solo per proteggerla dalla caduta. Nessun raptus omicida, soltanto un incidente. Ma le indagini vengono chiuse molto rapidamente: saranno ascoltati solo la vigilessa e un suo collega, prima di formalizzare il reato di lesioni gravissime (che diventerà poi tentato omicidio). Durante la detenzione a Regina Coeli, Monnet vive l’esperienza più terribile: nell’infermeria del penitenziario romano viene sottoposto a sevizie: il medico di turno, Rolando Degli Angioli, dopo averlo legato e sottoposto a percosse ai piedi, gli inserisce un catetere senza anestesia. Indagato per violenza privata e falso, il medico di turno patteggerà una condanna a due anni e otto mesi e risarcirà Monnet con 30 mila euro. Julien Monnet viene intanto trasferito nell’ospedale psichiatrico di Montelupo Fiorentino, dove deve seguire una terapia durante il regime degli arresti domiciliari.
Al processo di primo grado, Monnet si presenta come imputato di tentato omicidio: avrebbe provato a uccidere la figlia “scagliandola per terra e facendole sbattere la testa sul selciato, quindi afferrandola e trascinandola per i capelli e ancora sbattendole per tre volte consecutive la testa a terra”. Al termine del dibattimento, il 28 febbraio 2011 i giudici del Tribunale di Roma si pronunceranno per un’assoluzione, ma solo perché Julien Monnet viene considerato incapace di intendere e di volere. L’avvocato del francese, Michele Gentiloni Silverij, preannuncia l’appello: “In realtà il fatto non sussiste, perché la bambina cadde insieme con il padre in maniera accidentale”. Il processo di secondo grado si apre così poco più di un anno dopo, il 22 marzo 2013. E durante il dibattimento vengono fuori tutte le lacune che hanno caratterizzato le indagini fin lì, soprattutto per quanto riguarda le perizie. La prima: Luna fu dimessa il 2 agosto 2008 “in condizioni di totale guarigione, senza alcun postumo: che fine avevano fatto le tremende fatture al fragile cranio della piccola?”, scrivono gli avvocati di Monnet. Non solo: un’accusa pesantissima come quella di tentato omicidio è stata formulata solo sulla base di dichiarazioni di testimoni oculari. E ancora: non è stato condotto nessun incidente probatorio. Infine, la contraddizione più evidente: a fronte di una perizia della procura che il 2 dicembre 2008 decretava l’incapacità totale d’intendere e di volere e la pericolosità sociale di Julien Monnet, soltanto 4 giorni dopo arrivava una diagnosi dello psichiatra della struttura di Montelupo Fiorentino che descrive il francese “lucido, vigile, tranquillo, adeguato, disponibile al colloquio”, arrivando a dimetterlo 6 mesi dopo. Sulla base di questi elementi, nel 2014 arriva il verdetto di secondo grado: per Monnet questa volta è assoluzione con formula piena. Si è trattato solo di un incidente, insomma, non di un tentato omicidio. La bambina gli è semplicemente caduta dalle braccia. Nel 2016, con la sentenza di proscioglimento divenuta irrevocabile, gli avvocati di Julien Monnet, Alessandro e Michele Gentiloni Silverij, presentano un’istanza di riparazione per ingiusta detenzione: chiedono 516 mila euro di risarcimento per il lungo periodo trascorso in custodia cautelare dal loro assistito e per i relativi danni temporanei e permanenti. Il 2 aprile 2018 i giudici della Corte d’appello di Roma accolgono la richiesta, fissando però in 141600 euro l’importo da liquidare al francese: quattrocento euro per ciascuno dei 354 giorni di ingiusta detenzione subita.
(fonti: Corriere della Sera, Repubblica, Il Tempo, Blitz Quotidiano)
Ultimo aggiornamento: 3 aprile 2018

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