Gen 30 2018

la legge del più forte-settecentosettantaquattro 30 01 2018

Published by at 11:28 pm under costume,cronaca cremonese,cronaca nazionale,Giudici

LA LEGGE DEL PIU’ FORTE – SETTECENTOSETTANTAQUATTRO Dialogo dal Dubbio on line, da cui si può imparare molto. Anzitutto, non è mai dichiarato formalmente ma il processo di cui si discute è solo il penale, quello, secondo la mia tesi, dove l’errore è escluso perché la legge ordina al giudice: se hai dubbi, assolvi. Ben diverso il civile, dove la materia può esse complicatissima, ma la legge impone dividere le ragioni tra i contendenti. Diversi punti del dialogo mi lasciano esterrefatto, il più difficile da digerire è: il non addetto ai lavori, a partire dai media, taccia, non confonda il giudice. Mi ricorda un altro argomento alla moda, le fake news, prodotto dei social, mai dei media! E l’invito è proposto nonostante la legge sia chiara, nel processo penale la prova si forma in Aula, sotto gli occhi del pubblico, e chiunque, se esperto dell’argomento, può farsene un’idea, che ha l’identico valore cultural intellettuale di quella del giudice. Un esempio tra i tantissimi dal caso Iori: sul tavolo delle morte sono rimasti i contenitori dello Xanax, da cui mancano 95 pastiglie, evidentemente prese dalle vittime, che secondo l’autopsia sono in uno stato di intossicazione acuta; bene, tre Corti compresa la Cassazione sostengono senza esitare che lo Xanax fu preso in gocce, senza fornire naturalmente una prova; qualcuno dimostri perché ha ragione la Corte! Ma non voglio annoiare il lettore con le mie osservazioni, se decide essere un lettore attento si diverte da solo! Col sospetto finale: certi giudici vorrebbero tutti i processi penali a porte chiuse? ———Inizia tutto con Tangentopoli?
«No, guardi, io credo che siamo di fronte a un salto degenerativo: durante Tangentopoli sulle prime pagine c’erano i pm, ora a essere oggetto di una vera e propria gogna, e altre volte di eccessivo plauso, è la decisione del giudice. Pericolosissimo. Anche perché si corre il rischio di un paradossale slittamento della giustizia dal luogo propriamente assegnatole a quello improprio dei mass media». Massimo Terzi, presidente del Tribunale di Torino, è uno dei magistrati che all’inaugurazione dell’anno giudiziario non hanno scelto un terreno di gioco facile. Il suo discorso alla cerimonia in Corte d’appello ha puntato dritto sul rischio che «la decisione del magistrato giudicante venga ridotta a opinione personale». E invece, ricorda al Dubbio, «l’esercizio della giurisdizione è tutt’altra cosa da una delle tante opinioni espresse nel circuito mediatico».
I pericoli riguardano soprattutto le assoluzioni?
Il punto è capire che la decisione del giudice non è un’operazione matematica. Altrimenti potremmo tranquillamente essere sostituiti da un computer. Si tratta di un percorso che spesso comporta un travaglio e, soprattutto quando questo travaglio conduce a un’assoluzione, bisogna rispettarlo, nell’interesse e a garanzia di tutti. Oltre che da questo, all’inaugurazione dell’anno giudiziario ho cercato di mettere in guardia da un’altra deriva.
Ovvero?
Dal rischio di ridurre, appunto, la decisione del giudice a una delle tante opinioni della dialettica massmediale. Dovrebbe essere chiaro che solo nel caso del magistrato la decisione si accompagna a un’assunzione di responsabilità. E invece a volte il rispetto di tale principio può venir meno anche tra di noi.
I magistrati a volte eccedono nel contestare la decisione di un collega?
Nei mezzi di impugnazione c’è tutto lo spazio per le contestazioni di merito anche più aspre. Io mi riferisco alle esternazioni gratuite che riguardano l’intero circuito massmediatico e che spesso si basano su una scarsissima conoscenza degli atti. Dopodiché, anche quando le critiche arrivano sulla base degli atti ci si dovrebbe ricordare che l’opinione è cosa ben diversa da una decisione che cambia la vita di qualcuno.
Il tribunale televisivo ha esautorato i Tribunali veri e propri?
Senta, è chiaro che non tutte le decisioni sono inappuntabili dal punto di vista tecnico. Ma mi pare che adesso davvero si esageri: nel circuito massmediatico tutti diventano giudici. E ci si dimentica che il giudice vero assume una decisione non in quanto persona fisica ma in nome del popolo italiano, e come espressione di un determinato ufficio giudiziario, di cui è solo, per così dire, ambasciatore.
Lei ha parlato di magistrati a rischio gogna.
Certo, nell’ultimo anno mi pare si sia verificato in più di un’occasione. E se è terribile che un magistrato venga messo alla gogna è potenzialmente persino più pericoloso il plauso, che rischia di avere effetti ancora più distorcenti.
Verso le toghe c’è la stessa sfiducia che investe le istituzioni in generale?
Non credo si tratti di sfiducia ma di interessi mossi deliberatamente da qualcuno o di una inarrestabile logica massmediale in cui esasperare i toni è conveniente. ll meccanismo del consenso o del dissenso massmediale può essere devastante. Sembra davvero che l’ultima parola non spetti più all’ambito processuale ma sia devoluta all’opinione pubblica. Dio ci scampi e liberi da una giustizia che ricerca il consenso.
Nei confronti di un gip di Reggio Emilia che ha “osato” emanare un’ordinanza cautelare meno severa di quanto richiesto sono state indette manifestazioni di piazza. Gli avvocati di Reggio sono stati gli unici a difendere quel magistrato.
Non conosco il caso specifico ma l’esempio, da come lo riferisce, mi pare molto pertinente: le manifestazioni costituiscono un prezioso strumento per influenzare le scelte della politica, ma se rivolte alla funzione giurisdizionale assumono un tratto inquietante. Anche perché il contrasto tra quanto l’opinione pubblica vorrebbe e la decisione resa possibile dalle norme è spesso assai vistoso. Certe decisioni possono non piacere alla gente, magari non piacciono neanche a me come persona fisica: ma se le norme ci sono vanno rispettate. Ci sono reati in cui anche in caso di flagranza non puoi tenere una persona in carcere. Prendersela con il giudice in quanto persona fisica crea anche un problema di sicurezza.
C’è la medicina difensiva: avremo giudici che per non essere linciati prenderanno le decisioni attese dalla gente?
Le influenze possono anche essere inconsce. D’altra parte chiunque comprende come sia impossibile non modificare per nulla il proprio atteggiamento mentale con cinquanta telecamere puntate addosso.
La degenerazione si supera anche con una collaborazione sempre più intensa tra magistratura e avvocatura?
Penso di sì. Credo che le storture di cui parliamo richiedano senz’altro un faticoso, forse utopistico dibattito culturale che porti a un codice deontologico massmediale. Ma sicuramente può essere molto preziosa una comunanza di intenti tra magistratura e avvocatura. È comprensibile come il difensore possa ritenere utile, nell’ambito del suo mandato, rimarcare una valutazione critica sulla decisione di un giudice, ma si tratta di un’utilità solo immediata. Alla lunga il meccanismo che si innesca è corrosivo per l’intero sistema.
Inizia tutto con Tangentopoli, presidente Terzi?
Sicuramente Tangentopoli ha impresso un’enorme accelerazione al processo che ha visto intrecciarsi giustizia e mass media. Ma c’è una differenza sostanziale rispetto a quanto avviene oggi: all’epoca le prime pagine erano presidiate da pubblici ministeri. Vista la diversità dei ruoli, portare l’attenzione sulla magistratura giudicante è un grande salto degenerativo, che si arrivi al plauso o alla gogna. Dobbiamo trovare il modo di alzare un argine: la decisione del giudice è diversa da un’opinione, anche da quella pur qualificata del pm, e non è accettabile che la persona fisica che l’assume finisca sotto i riflettori.

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