Set 22 2017

studio mascarini 22 09 2017

Published by at 9:15 am under cronaca cremonese,spettacoli

STUDIO MASCARINI – MOSTRA DEL 28 SETTEMBRE ORE 17 – DUE
Giuseppe Rivaroli 2017
a cura di Sebastiano Mascarini e Marco Tanzi
Marco Tanzi / A volte ritornano
Quest’anno abbiamo voluto esagerare, ci siamo lasciati prendere tutti un po’ la mano: due mostre in una, fatte con le stesse modalità e con l’allestimento di Michele sempre più protagonista, come un’altra mostra (un’altra ancora?) nelle due mostre. E un catalogo che potremmo quasi dire palindromo. Insomma, un gioco di specchi che non finisce più.
Roma 1928. Strano destino per due cremonesi che stanno a due passi l’uno dall’altro, in via Margutta, e sono entrambi artisti: nello stesso anno c’è, da una parte, la caduta rovinosa di Alceo Dossena (1878-1937), scultore e falsario, il processo – difensore Farinacci – e lo scandalo internazionale delle sue opere vendute per buone agli americani, e dall’altra la consacrazione definitiva di Giuseppe Rivaroli (1885-1943), pittore, con una commissione di altissimo prestigio, la decorazione dello scalone d’onore del Ministero della Marina a Lungotevere Arnaldo da Brescia. Curioso incrocio del destino, coincidenze di vita, con mogli lasciate a Cremona e trovate a Roma e/o viceversa, figli compresi, un po’ di qua un po’ di là: un film che non potrebbe che avere come protagonista – nella parte di Dossena, ovviamente – il genio grottesco di Ugo Tognazzi. L’Alceo, come familiarmente lo chiama la sua biografa, era nel pieno della fama e sfornava capolavori da piazzare ai gonzi: le foto dell’epoca ce lo mostrano con una faccia rubizza in un atelier zeppo di sculture fin troppo belle che, come sempre i falsi, esibiscono la presunzione dell’autore. «Carattere scherzoso e bizzarro», certo; «vittima degli antiquari», naturalmente…quanti ne abbiamo visti così, in ambiti magari diversi, attraversarci la strada a Cremona, poi avere successi e tracolli, tutti sempre sopra le righe, con capriole e salti mortali, tra le onde della vita. Un circo. Ma la città perdona sempre e a volte non si ferma lì, non riesce proprio a tenersi, sfiora vertici sublimi di ridicolo e dal fango solleva all’altare, crea santini: ce n’è sempre bisogno, non si sa mai…
Non so se Rivaroli, che a Roma c’era arrivato nel 1908 e nelle foto giovanili ha una bella faccia da «’mpunito», ha poi mantenuto rapporti con la sua città o se n’è tenuto saggiamente alla larga. Lui è il pittore cremonese più noto del Novecento, non dico il più bravo: senza dubbio il più famoso sul palcoscenico nazionale. E infatti è l’unico che appare oggi con una certa regolarità nelle aste, anche quelle che contano. Hai voglia a dire Argentieri, Vittori, Rizzi, Gallelli; non parliamo di Biazzi e Botti, dei più giovani Piroli e Signori o del grande Cirillo Bertazzoli; nessuno riesce a sfiorare la fama di Rivaroli, o a ottenere le commissioni prestigiose che gli affida il Regime. E i soldi: sai che invidia sotto il Torrazzo!
Intanto, però, dal 2007 a oggi, dopo lunghissimo oblio e quasi per riparare a un senso di colpa, questa è la quarta rassegna che Cremona dedica – dea ex machina delle precedenti è Donatella Migliore, alla quale si rimanda per le scarne notizie biografiche – a questo suo figliol prodigo: altro che vitello grasso.
Due considerazioni. Rivaroli a Roma azzecca il giro giusto e piovono ricche commesse in ministeri e palazzi patrizi, che lo impongono all’attenzione, così fa mostre su mostre, da Roma a Palermo, da Bolzano a Sassari; illustra riviste, restaura, è ricercatissimo: nobili, diplomatici, grand commis di stato fanno a gara per procurarsi le sue opere, dal principe Giovanni Torlonia (il suo grande ritratto, nella villa di via Nomentana che aveva affittato a Mussolini per una lira, è tutti i giorni sotto gli occhi del Duce) all’ambasciatore di Sua Maestà britannica. Tra Simbolismo, Liberty e dipinti «new-Fortuny», Rivaroli ha uno stile che incontra un enorme successo, per una clientela vastissima che soddisfa con una produzione torrenziale. Ma forse la sua vera fortuna è che imbrocca il momento di massimo consenso del Fascismo, quando ci sono i mezzi per le «grandi opere»: così partono importanti cantieri che bisogna decorare, e a lui toccano il Ministero della Marina e l’Istituto Internazionale dell’Agricoltura. E tante mostre, in quegli anni, anche di esportazione. Nella Primera Esposición Italiana de Pintura Moderna a Santiago del Cile, nell’autunno del 1927, c’è anche lui in mezzo ai protagonisti del panorama tra fine Ottocento e primo Novecento: Rivaroli «es un pintor moderno, pero al mismo tiempo, es un artista antiquo». Tutti a lodarne la prodigiosa abilità cromatica, il colorismo sfrenato.
Proprio per questo abbiamo voluto tentare un’ennesima piccola sfida, proponendo un’esposizione di disegni, in cui questo decantato pittoricismo bisogna saperlo immaginare. Il corpus grafico viene da una cartella ritrovata, ancora una volta, dall’olfatto finissimo dei Mascarini: schizzi rapidi e foglietti solo un poco più articolati, studi preparatori in cui immaginare l’elaborazione successiva delle imprese principali; animali, paesaggi, viluppi vorticosi di corpi, particolari ravvicinati, figure che si stagliano più nette. C’è una vena facile, copiosissima, ma anche una disciplina ferrea della pratica del disegno: studi su studi; le intavolazioni, a volte davvero complesse, dei grandi dipinti sono come sotto un microscopio e ripetute più volte in ogni piccolo dettaglio; niente è lasciato al caso, come nelle botteghe dei pittori antichi. Non solo colore, dunque, per Rivaroli, ma un’attitudine disegnativa per molti aspetti strabiliante e una tecnica grafica naturalmente predisposta al colore, che lo suggerisce, lo chiama, lo esige.

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