Ago 30 2017

la legge del più forte-seicentoventinove 30 08 2017

Published by at 3:08 pm under costume,cronaca cremonese,cronaca nazionale,Giudici

LA LEGGE DEL PIU’ FORTE – SEICENTOVENTINOVE Piero Sansonetti, direttore del Dubbio:
—Eppur si muove. Dopo anni di letargo finalmente la magistratura sembra scuotersi. Inizia a discutere, a interrogarsi su se stessa. La dottoressa Mariarosa Guglielmi, che è la segretaria di Md ( corrente di sinistra delle toghe) in una intervista molto interessante che abbiamo pubblicato ieri sul “Dubbio” ha posto alcune questioni cruciali, che fanno traballare tutte le certezze giustizialiste – è lei che usa questo termine, non è una mia forzatura – intorno alle quali si è sviluppata nell’ultimo quarto di secolo la cultura maggioritaria nella magistratura italiana. Finalmente si discute. Naturalmente nella magistratura italiana sono sempre esistite le voci critiche, i dissensi, le personalità legate a una idea forte di Stato di diritto. Però, se dobbiamo ricostruire la storia recente dell’Italia, non possiamo nascondere il peso che hanno avuto i pensieri e gli atteggiamenti “autoritari” che hanno dominato tra le toghe. E hanno dominato dilagando trasversalmente: da sinistra a destra. La cultura del sospetto, che nell’ultimo anno tante volte è stata illustrata, senza ipocrisie e veli, da un magistrato di destra come Piercamillo Davigo, ha fatto breccia e si è insediata tra quelle che – proprio per questa ragione – Berlusconi chiamava le toghe rosse. Un pezzo molto grande di magistratura si è convinta che il suo compito non fosse più quello di giudicare e di perseguire i delitti, ma quello di fare pulizia nella società e di rigenerala moralmente. L’idea laica (ma sacra) dello Stato di diritto è stata sostituita dall’idea terribile dello Stato etico, e la magistratura ha immaginato se stessa come fondamenta e garanzia dello Stato etico e della sua eticità— E via di questo passo, e allora sempre la mia critica puntuale e feroce: se anche chi vede i troppi limiti (sono gentile) della magistratura li critica partendo dall’Olimpo, difficilmente arriverà a vedere che succede nelle Aule; ecco, dalle ultime pagine del mio libretto sul caso Iori, come il giudice italiano, se vuol condannare, raggiunge la certezza della colpa del povero imputato, al di là di ogni ragionevole dubbio, come impone la legge: —“Acquisita la valenza indicativa, sia pure di portata possibilistica e non univoca, di ciascun indizio, deve quindi passarsi al momento metodologico successivo del loro esame globale e unitario, attraverso il quale può risolversi la relativa ambiguità di ciascun elemento di prova indiretta, perché nella valutazione complessiva ogni indizio si integra con gli altri, così che il loro insieme può assumere quel pregnante e univoco significato dimostrativo che consente di ritenere conseguita la prova logica (o critica) del fatto, che non costituisce uno strumento di prova meno qualificato rispetto alla prova storica o diretta, quando sia conseguito con la rigorosità metodologica che giustifica e sostanzia il principio del libero convincimento del giudice” Qualche parola in più, a mo’ di belletto, ma il principio che la Cassazione dichiara dover essere usuale nei Tribunali italiani è tremendo: la Difesa strilli fin che vuole, il giudice sceglie gli indizi, quelli che decide lui, anche se di portata possibilistica; li confluisce verso un’univocità che dia la certezza logica dell’esistenza del fatto da provare, in modo si confortino l’un l’altro in una valutazione complessiva eccetera, che pareggia addirittura la prova storica o diretta; ma questa idea innata, questa specie di chioccia, che fa da spartiacque: colpevole o innocente, che impiega tanto
bene gli indizi scelti dal giudice, da dove proviene? La Cassazione, tanto generosa di dettagli, non lo spiega; nel silenzio, la affida alla più completa libertà di ciascun giudice: il libero convincimento, e la Cassazione dovrebbe solo accertare che la sentenza è frutto di quella libertà. Non è un caso che la Corte d’Appello, allieva diligente, si sia espressa così: “è noto che l’immagine e il valore di ciascun tassello componente il puzzle non si riesca a cogliere rimirando da vicino il mosaico, ma solo ponendosi ad una certa distanza da esso, onde poter contemplare in tutto il suo completo significato la scena ivi rappresentata”. Non stiamo parlando di un quadro, ma se sia possibile rifilare 95 pastiglie di Xanax….
Nei processi Iori non è un indizio da valutare che l’appartamento fosse al primo piano
di un condominio in centro di Crema, e che le tapparelle siano rimaste alzate tutta la durata del dramma, perché il mattino lo erano ancora, segno evidente che “l’assassino” se ne infischiava della possibilità di essere visto…..
Indizio forte invece che Iori abbia comprato bombole e fornelli, ma non viene mai detto in alcuna delle sentenze che ha comprato anche i contenitori per scaldare i cibi, un giorno leggeri, il giorno dopo più robusti, nel timore i primi non tenessero la fiamma: questione di aderenza o non all’idea madre, di distanza dal mosaico?
L’idea innata, la “chioccia”, dice che le tapparelle alzate e i contenitori non sono indizi, e la Cassazione autorizza a non spiegare perché; gli altri indizi, invece, confluiscono verso l’idea innata, sorretti dal libero convincimento del giudice.

Cremona 30 08 2017 www.flaminiocozzaglio.info flcozzaglio@gmail.com

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